Negli anni 1980 si diceva e scriveva che le acciaierie possono essere sicure e non inquinanti. Della Hoogovens di Ijmuiden, il più grande stabilimento dei Paesi Bassi, si affermava che le sue emissioni fossero pure come vapor d’acqua, grazie agli investimenti e alle tecnologie di chiusura delle fonti inquinanti. Negli anni successivi, però, anche quel “gioiello industriale” rivelò la sua vera natura, portando a un incremento devastante dei tumori, delle leucemie, delle patologie endocrine, respiratorie e vascolari. Oggi politica, industria e sindacati ci ripetono la consueta sequenza di rassicurazioni e promesse: “L’Ilva è salva, arriva la firma: 10mila assunti senza Jobs act. Chiuderemo le fonti inquinanti in questa operazione che è una vittoria di chi si impegna per l’ambiente”. Nella realtà, la salute pubblica e la vita stessa di tanti cittadini che vivono nei pressi delle sedi Ilva “salvate” dall’accordo sono state immolate sull’altare di interessi che di “pulito” non hanno proprio niente. Quando capiremo che le acciaierie, le acciaierie che – giustamente – nessuno vuole vicino al proprio abitato, avvelenano e uccidono le persone e l’ambiente? Speriamo presto. Speriamo che le cittadinanze che stanno per subire un nuovo attentato tossico e patogeno non si facciano anestetizzare dalle promesse e dai sorrisi, ma scendano in piazza e dicano no, senza desistere, senza accettare compromessi, senza cedere il bene più prezioso (loro e dei loro figli) agli industriali della morte.
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