“Identità è una parola pericolosa: non ha alcun uso contemporaneo che sia rispettabile”. L’ammonizione dello storico inglese Tony Judt (2010) era stata avanzata, prima e in termini più espliciti, dall’economista indiano Amartya Sen in Identità e violenza. Recensendo quel libro, Mario Vargas Llosa ha scritto che la domanda che sorge di fronte all’ affermazione, violenta, delle identità nazionali e religiose è riassunta in un verso di Pablo Neruda: “E l’uomo dov’era?”. “Prima gli italiani”, “dove metterete quei 100 che vi siete accollati?”, “difendiamo le nostre radici cristiane”: ebbene, l’uomo dov’è? Che ne è della comune identità umana, unica fonte dei diritti fondamentali dell’ individuo? È la domanda cruciale, in questa orrenda stagione del discorso pubblico sfigurato dal veleno della retorica identitaria.
Siamo al punto che su uno stesso giornale (il Corriere della sera del 28 agosto) si può trovare, a pagina 5, il resoconto di una ricerca dell’ Istituto Cattaneo che dimostra come sia l’ ignoranza a far parlare di ‘invasione’ di migranti (che sono il 7 per cento della popolazione, e sono ritenuti invece quasi il 30% da chi ha solo la terza media), e poi leggere, a pagina 28, un editoriale che toglie a Matteo Salvini, per dare a Marco Minniti, il merito “del duro lavoro in Libia con cui pose fine ai flussi che ci stavano seppellendo”. Una frase che colpisce per il silenzio circa il fatto che quel ‘lavoro’ era duro soprattutto per i migranti: chiusi in campi di concentramento i cui allucinanti video sono arrivati fino al papa. Ma che sconcerta non meno per il lessico irresponsabilmente apocalittico: perché afferma senza remore che, se non avessimo chiuso i migranti in campi di tortura, ne saremmo stati “seppelliti”.
‘Noi’ seppelliti da ‘loro’: è questo il nucleo identitario, dichiarato o meno, su cui si fonda ogni dottrina del respingimento. Un’ opposizione, questa tra ‘noi’ e ‘loro’, abbracciata senza riserve anche dal Partito democratico, come dimostra il Matteo Renzi cripto-razzista dell’ ormai famoso “aiutiamoli a casa loro”. Da qua discende quel terrore identitario che non ha alcuna giustificazione nei numeri, attuali o futuri: perché l’ Africa non vuole venire in Occidente, tanto meno in Italia… Continua su libertaegiustizia