Il 17 settembre ci sarà la prima udienza del processo contro il sindaco leghista Matteo Camiciottoli di Pontinvrea che lo scorso anno, dopo lo stupro di Rimini, augurò a Laura Boldrini, e quindi alla terza carica dello Stato, di avere gli stupratori in casa scrivendo: “Potremmo dargli gli arresti domiciliari a casa della Boldrini, magari gli mette il sorriso…”(come se uno stupro potesse allietare una donna).
Accanto a lei chiederanno al giudice di costituirsi parte civile al processo alcune delle più importanti associazioni di donne in Italia, tra cui DiRe (Rete nazionale dei centri antiviolenza), Differenza Donna, l’Udi, Rebel Network e Snoq Torino, non solo per sostenere l’ex presidente ma per tutte quelle donne che vengono offese, aggredite, minacciate quando dicono quello che pensano, quando agiscono fuori dagli schemi maschili, quando subiscono violenza in famiglia o sul posto di lavoro perché si permettono di ribellarsi all’uomo a cui dovrebbero obbedire in silenzio.
In particolare l’hate speech contro le donne sul web, che molti ancora si ostinano a considerare libera opinione, rappresenta un’enorme campagna di discredito contro tutte quelle che, in un modo o in un altro, hanno deciso di avere un ruolo ed esercitano la loro influenza di pensiero in diversi ambiti. Campagne denigratorie e ostili che partono dal presupposto che le parole di una donna, qualsiasi sia il suo posto nella società, valgono meno rispetto a quelle di un uomo, e questo attraverso parole, richiami, offese, epiteti che contro i maschi nessuno si sognerebbe mai di fare e che sarebbe punita amaramente. Donne che danno fastidio e che se fosse possibile, il pensiero unico maschile cancellerebbe anche nel nominarle e che tenta, con un neutro che non riconosce il femminile, di arginarle soprattutto quando ricoprono una carica o un ruolo di potere: luoghi non contemplati per le donne che possono solo accidentalmente e temporaneamente ricoprire quelle posizioni costruite solo per i maschi.
All’interno di queste campagne, Laura Boldrini è stata una di quelle più bersagliate della politica italiana, fino al punto che lei stessa, con l’hastag #Adessobasta, ha deciso di rispondere all’offensiva massiccia e capillare, denunciando gli offender e portandoli in tribunale. Stupidaggini, scherzi, che si sono trasformate in scuse solo quando la deputata di LeU ha cominciato a querelare o a telefonare per invitare a un chiarimento i suoi odiatori che hanno fatto rispondere a madri e mogli per la vergogna. Uno dei primi a esporla alla furia del web è stato Grillo che, con una di quelle che gli uomini chiamano goliardate, pubblicò un video e il messaggio “Cosa succederebbe se ti trovassi la Boldrini in macchina?”. Poi, fra tutte le aggressioni innumerevoli, c’è stata la bambola gonfiabile portata su un palco dal ministro Salvini per il pubblico ludibrio, la foto con la sua testa mozzata sul web e il rogo di un fantoccio con la sua faccia inscenato in piazza a Busto Arsizio per mano del movimento giovanile della Lega che Salvini chiamò “una sciocchezza”. Punta di un iceberg gigantesco che per tutta la durata del suo mandato, e anche oltre, ha mostrato la ferocia che si scatena quando una donna si azzarda a ricoprire un ruolo senza un padrino e agisce con un cervello pensante.
Ma da dove nasce tutto questo odio e tutta questa violenza? Lo ha spiegato in maniera esemplare la stessa Boldrini al convegno “Le molestie sul lavoro” organizzato dalle Pari opportunità e dall’Università di Trento il 7 e l’8 settembre scorso, parlando di un grande elefante chiamato patriarcato: un intervento che qui viene riproposto in una delle sue parti più eloquenti (cliccare sul video qui sotto).