Un progetto Censis-Conad, presentato a Roma, si pone l’obiettivo di stimolare l’avvio di una riflessione tra tutti gli attori della società civile per dare visibilità e forza a idee ed esperienze concrete. Intanto un rapporto rivela che tra i cittadini prevalgono disagio, rancore e i pregiudizi verso ciò che è “diverso”
ROMA – Pesante eredità quella della crisi economica del 2008, una crisi “che sta consegnando l’Italia ad un futuro di paura e rancore, impoverita di quelle fughe in avanti servite nei decenni passati a dare corpo al miracolo economico e ad una potenza economica a livello mondiale”. A dirlo è il Censis, che ricorda come “aspettative decrescenti, diseguaglianze sociali, paura di scendere nella scala sociale hanno generato la società del rancore, una società frammentata, debole, chiusa, regressiva. Che ha rinunciato a consumi e investimenti, motori insostituibili dello sviluppo”. È a partire da questo scenario che Censis e Conad uniscono competenze e forze per dare vita ad un progetto di ricerca, comunicazione e confronto aperto a tutti gli attori del vivere sociale – cittadini, politica, istituzioni e imprese – per favorire l’avvio di una riflessione comune che si trasformi in una nuova spinta propulsiva per costruire il futuro di ciascuno e del Paese. Il progetto è stato presentato stamattina a Palazzo Giustiniani dal responsabile Area Politiche sociali del Censis Francesco Maietta. Alla presentazione è seguita la tavola rotonda “Miti del rancore, miti per la crescita: verso un immaginario collettivo per lo sviluppo” con il giornalista Luca De Biase, il filosofo Maurizio Ferraris, il direttore generale del Censis Massimiliano Valerii e l’amministratore delegato di Conad Francesco Pugliese.
“Malanimo, fastidio per gli altri, soprattutto se diversi, e tante paure: ecco l’immaginario collettivo degli italiani oggi, in cui ogni sfida è percepita come una minaccia, mai come una opportunità. L’opposto dei miti, dei sogni e dei desideri dell’Italia dello sviluppo, della ricostruzione e del miracolo economico: un progresso sociale interrotto dalla grande crisi del 2008 – afferma il direttore generale del Censis, Massimiliano Valerii -. Un tempo erano tv, cinema e carta stampata a diffondere miti positivi, obiettivi da raggiungere e riti collettivi, mentre oggi domina l’autoreferenzialità di internet e social network. Vincono immaginari personalizzati e reversibili, uniti da risentimento e paura”.La crisi che blocca l’Italia è economica, ma anche sociale. Il progetto Censis-Conad si pone l’obiettivo di stimolare l’avvio di una riflessione comune, portando in evidenza i costi che il Paese pagherà nel caso la società restasse intrappolata nella propria paura, nella nostalgia del passato, nel rancore. Una riflessione che dovrà dare visibilità e forza a idee ed esperienze concrete. Le attività prevedono la valorizzazione delle conoscenze attuali, continuando al contempo a individuare ulteriori fonti specifiche per il progetto; la loro divulgazione, portando la riflessione sui contenuti nei luoghi più significativi del Paese; una intensa campagna di comunicazione dando visibilità a tre roadshow territoriali (uno al Nord, uno al Centro e uno al Sud) con il coinvolgimento di stakeholder, testimonial, esperti, referenti istituzionali, politici. A chiusura del progetto, Censis e Conad daranno vita ad un evento di alto profilo culturale e sociale che ruota attorno alla presentazione dell’immaginario collettivo contemporaneo degli italiani, all’incontro con grandi personalità sui temi affrontati, alla consegna del premio “Top Imaginary Contest” al personaggio pubblico che più ha fatto presa sullo stato d’animo degli italiani e a una lectio magistralis sul nuovo immaginario collettivo rivolta agli studenti delle scuole medie superiori e universitari.
“Abbiamo sviluppato questo progetto con il Censis perché siamo interessati ad approfondire la relazione che si instaura tra le persone, tra loro e le comunità di cui sono parte integrante, e che inevitabilmente hanno un impatto sui consumi – ha sottolineato l’amministratore delegato di Conad, Francesco Pugliese -. Serve con urgenza un pensiero di comunità e questo è ciò che ogni cittadino si attende dalla politica e dalle istituzioni. La vera sfida è conoscere a fondo territori e comunità; è saper costruire una relazione a misura dei bisogni della persona, abbandonando la cultura del rancore e la paura che ostacolano la ripresa del Paese, per passare a una società con rinnovate aspirazioni e capacità di crescere”.
Vincono disagio e rancore. L’analisi Censis sull’Italia restituisce l’immagine di un Paese che nutre un forte disagio per il presente, ha una grande nostalgia del passato (7 italiani su 10 sostengono che “si stava meglio prima”) ed è incapace di investire nel proprio futuro. Le ragioni sono tante: dalla bassa natalità (dal 1951 a oggi si sono persi 5,7 milioni di giovani) alla progressiva scarsità di reddito (rispetto alla media della popolazione, le famiglie giovani, con meno di 35 anni di età, hanno un reddito più basso del 15% e una ricchezza inferiore del 41%), dalla crisi sociale allo smarrimento della cultura del rischio personale, indispensabile per rimettere in moto la crescita e i meccanismi di ascesa della scala sociale.
Crescono, alimentati dal rancore, i pregiudizi verso ciò che è “diverso”: 7 italiani su 10 sono contrari al matrimonio con una persona più vecchia di almeno vent’anni o dello stesso sesso, oltre che a quello con persone di differente religione, in particolare islamica. 4 su 10, poi, non vedono di buon occhio l’unione con immigrati, asiatici o africani.
Il 95% degli italiani è convinto che per fare strada nella vita occorra conoscere le persone giuste, oppure provenire da una famiglia agiata (l’88% rispetto al 61% dei tedeschi, il 54% degli inglesi, il 44% dei francesi, il 38% degli svedesi) o avere fortuna (il 93% rispetto all’89% dei tedeschi, il 77% dei francesi, il 69% degli svedesi e il 62% degli inglesi).
Eppure, nell’ultima fase della recessione e nella timida ripresa congiunturale gli italiani dispongono di una liquidità totale di 911 miliardi di euro (cresciuta di 110 miliardi tra il 2015 e il 2017), pari al valore di un’economia che, nella graduatoria del Pil dei Paesi europei post-Brexit, si collocherebbe dopo Germania, Francia e Spagna. Insomma, l’Italia ha smarrito la capacità di guardare avanti e si limita a utilizzare le risorse di cui dispone senza tuttavia seguire un preciso programma. Lo dimostra anche l’incidenza degli investimenti sul Pil, scesa al 17,2%, che colloca l’Italia a distanza dalla media europea (21,1%), da Francia (23,5%), Germania (20,1%) e Spagna (21,1%).