Ilva e Taranto. A che è punto è la notte

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di Gaetano De Monte. Giornalista, Mediterrenean Hope – programma migranti e rifugiati della Federazione delle Chiese evangeliche in Italia (Fcei)

Sei estati dopo il sequestro della più grande fabbrica italiana perché secondo i magistrati di Taranto: “produceva malattie e morte”, cosa è cambiato all’Ilva. Sette operai morti sul lavoro, centinaia di persone che ogni anno continuano ad ammalarsi nei quartieri vicini alla fabbrica. Un processo per disastro ambientale tuttora in corso, dodici decreti di legge, decine e decine di tavoli ministeriali. L’ultimo vertice, forse decisivo, tra i sindacati metalmeccanici, il ministero dello sviluppo economico e la multinazionale Arcelor Mittal, che si era aggiudicata a giugno scorso la gara per rilevare la fabbrica, bandita dal ministro precedente Carlo Calenda, si è concluso qualche giorno fa.

Roma. In un primo pomeriggio di fine estate il ministro dello sviluppo economico, Luigi Di Maio esce dalla porta principale del suo ministero, in Via Veneto. Ad attenderlo ci sono decine di giornalisti. Alle sue spalle, mentre guadagnano l’uscita, gli uomini attualmente ai vertici dei sindacati metalmeccanici italiani; poco più in là, sul marciapiede, le aste riposte delle bandiere delle organizzazioni sindacali ne segnalavano la presenza al completo. A farsi spazio, completando il quadro, c’è Mattieu Jehel, amministratore delegato di una multinazionale indiana, Arcelor Mittal, società siderurgica e mineraria che gestisce siti industriali in 19 nazioni, tra i cinque maggiori produttori al mondo di minerale di ferro e carbone metallurgico; ma, soprattutto, il più grande produttore di acciaio. Perciò, «siamo contenti del risultato di oggi. Abbiamo fatto un accordo che va bene per tutti. E’ l’inizio di un percorso e di un lungo viaggio per fare dell’Ilva un’impresa più forte e più pulita nel futuro», dice con soddisfazione Jehel, uscendo dal Misedove è stato appena raggiunto l’accordo definitivo per la cessione al gruppo indiano dell’Ilva di Taranto.

«Il miglior risultato possibile nelle peggiori condizioni possibili», sintetizza subito Di Maio, prendendosi la scena di cronisti e fotografi. «Quando siamo arrivati al Ministero dello Sviluppo economico, lo stabilimento Ilva era stato già venduto con un contratto sottoscritto nel 2017, che prevedeva meno garanzie ambientali e non prevedeva l’accordo sindacale», dice il vice-premier, ministro e capo politico del Movimento Cinque Stelle: «oggi è stato ottenuto che l’aumento della produzione di acciaio oltre sei milioni di tonnellate annue sia condizionato alla dimostrazione da parte dell’azienda che le emissioni complessive di polveri dell’impianto non superino i livelli collegati alla produzione a 6 milioni». E ancora, ha spiegato Di Maio, riannodando nel racconto… Continua su confronti


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