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“Figli di un’informazione minore”: “Imbavagliati” illumina le storie dei cronisti di periferia

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“Nego che esistano figli di un’informazione minore. L’indice di ascolto non può sostituire l’indice di dignità”: queste parole, pronunciate dal presidente della FNSI, Giuseppe Giulietti, rilanciano appieno il tema dell’incontro dibattito svoltosi lo scorso 24 settembre al Pan di Napoli, nell’ambito di “Imbavagliati – Festival Internazionale di Giornalismo Civile”, ideato e diretto da Désirée Klain, giunto alla IV edizione.

L’incontro “Figli di un’informazione minore: blogger al centro del mirino”, ha acceso i riflettori sulle storie e sul lavoro dei giornalisti che pubblicano le loro inchieste su blog o giornali online da loro stessi diretti che in Italia, non beneficiando della tutela di un direttore, e che vivono nei luoghi che raccontano, a stretto contatto con coloro che li minacciano.

“La cancellazione del contesto è il vero problema della categoria di oggi. – ha affermato Giulietti – I cronisti di periferia sono delle antenne in luoghi che non vediamo, in realtà non consegnate al silenzio, si fanno fisicamente interpreti dell’articolo 21 che non legittima solo il diritto del cronista a scrivere, ma anche quello del cittadino ad essere informato. Al cospetto delle minacce, non rischia solo il giornalista, ma anche la comunità che non sa reagire. Se vogliamo dargli una mano dobbiamo metterci sulle spalle le loro inchieste. Non voglio chiudere il mio mandato da presidente della FNSI commemorando uno dei cronisti che ho illuminato.”

Il Portavoce di Amnesty International Italia, Riccardo Noury, ha proposto di rilanciare e “modernizzare” la scorta mediatica attraverso l’utilizzo di hashtag da lanciare in rete per far moltiplicare la solidarietà intorno ai cronisti minacciati. “Le storie dei giornalisti intervenuti oggi sono molto simili a quelle dei loro colleghi messicani,  – ha affermato Riccardo Noury -proprio in questi giorni è stato ucciso l’undicesimo giornalista in Messico, una realtà frutto della commistione  tra una criminalità molto aggressiva e Uno Stato inesistente. Il nostro compito è impedire che l’Italia diventi come il Messico.”

Nel corso del dibattito, sei giornalisti hanno raccontato le loro storie, ambientate in luoghi apparentemente diversi e distanti, seppure vicini ed affini nei contenuti e nelle dinamiche che hanno poi portato i cronisti a finire nel mirino di chi vorrebbe fermare le loro inchieste. L’amore per la verità, la volontà di “scavare” per andare ben oltre la superficiale apparenza dei fatti per addentrarsi nel cuore della notizia, scoprirla e raccontarla nella sua piene interezza, sprezzanti del pericolo al quale questo modo di ricostruire i fatti li espone: questo il filo conduttore che idealmente congiunge il cuore, le mani e le penne dei cronisti di periferia.

Marilù Mastrogiovanni, giornalista salentina, fondatrice del mensile “Il Tacco d’Italia”, dove ha pubblicato numerose inchieste, alcune delle quali sono state oscurate dal Tribunale di Lecce, poi rimesse online solo dopo il ricorso accolto dalla Magistratura. Ha ricevuto decine di querele temerarie e diverse minacce dalla criminalità organizzata per le sue inchieste sul business dei rifiuti e sulle speculazioni edilizie in zone protette. Ad alcune inchieste, l’amministrazione comunale del suo paese ha replicato affiggendo dei manifesti diffamatori, mentre, all’indomani delle elezioni comunali, sono apparsi dei manifesti che ritraevano la cronista seppellita in una fossa.

Luciana Esposito, giovane giornalista napoletana, nel 2014 fonda il giornale online Napolitan.it, accendendo un focus sulla criminalità organizzata della perfieria orientale di Napoli, concentrandosi, in particolare sul quartiere Ponticelli. La cronista ha ricevuto diverse minacce e nel 2015 ha subito due aggressioni fisiche, l’ultima culminata in un tentativo di sequestro di persona. Poche ore prima che prendesse parte al dibattito organizzato al PAN, il suo account facebook è stato bloccato: i membri di una squadra della “Festa dei gigli di Barra” si sono coalizzati per segnalare come materiale pornografico un articolo in cui la giornalista raccontava le estorsioni subite dai commercianti, proprio da parte di questi ultimi, per sovvenzionare la festa.

Mario De Michele, giornalista casertano, direttore del quotidiano online Campanianotizie.com. Prima delle elezioni di Orta di Atella è stato percosso, successivamente  ha ricevuto una busta contente quattro proiettili ed una lettera in cui gli viene richiesto di non occuparsi più del suo paese, servendosi della seguente frase: “per te Orta è morta”. Lo scorso 19 settembre, il cronista si è recato nella zona periferica di Orta di Atella per effettuare un sopralluogo. Mentre era alla guida della sua auto è stato raggiunto da due individui a volto coperto che a bordo di uno scooter gli hanno sbarrato la strada e hanno colpito più volte con una spranga il parabrezza della sua vettura.

Gaetano Gorgoni, giornalista e docente formatore pugliesi, ha lavorato per quotidiani locali e nazionali ed ha diretto il tg delle principali radio-televisioni leccesi. Ha fondato e dirige il Corrieresalentino.it, dove ha pubblicato alcune intercettazioni tra tra esponenti politici locali e il referente di un boss leccese della Sacra Corona Unita. In seguito a questi articoli è stato minacciato dal boss in questione e in molti lo hanno intimato alla “prudenza” lanciandogli vari segnali: negandogli i finanziamenti degli sponsor o facendolo redarguire telefonicamente da personaggi politici in vista.

Leandro Salvia, giornalista siciliano , da oltre 20 anni si occupa della cronaca di San Giuseppe Jato, San Cipirello e Piana degli Albanesi. Dal 2003 è corrispondente del Giornale di Sicilia e dal 2004 gestisce il portale di informazione Vallejatonews. Lo scorso giugno, dopo un articolo che documentava l’organizzazione di uno spettacolo di sexy car wash con il logo del Comune di San Cipirello, è stato allontanato con la forza dall’aula consiliare. Negli ultimi 13 mesi è stato più volte insultato sui social, persino dal primo cittadino Vincenzo Geluso, il quale, dopo un articolo pubblicato da Leandro riguardo i lavori al cimitero, scrive sul suo profilo Instagram: “Parra picca ca ti facisti schifiari di tutti” (parla poco che ti sta facendo schifare).

Paolo Borrometi, giornalista e attuale presidente di Articolo 21, nel settembre del 2013 fonda la testata giornalistica di inchieste “La spia”. Il sito entra subito nel mirino delle mafie: Borrometi riceve immeditamente svariate minacce dalla criminalità organizzata ragusana. Il 16 aprile del 2014 viene aggredito da incappucciati e l’aggressione gli provoca una grave menomazione alla mobilità della spalla. Nell’agosto 2014, quando la porta di casa del giornalista viene incendiata, gli viene assegnata la scorta, ma non basta a sedare l’ira della mafia. Nell’aprile del 2018 la Dda di Catania  scopre che i mafiosi di Pachino stavano pianificando un attentato per fermare Paolo Borrometi: “Dobbiamo colpire a quello. Bum, a terra. Devi colpire a questo, bum, a terra. E qua c’è un ioufocu (un fuoco d’artificio – ndr). Come era negli anni Novanta, in cui non si poteva camminare neanche a piedi. Ogni tanto un murticeddu (un morto ndr) vedi che serve… per dare una calmata a tutti. Un murticeddu, c’è bisogno, così si darebbero una calmata tutti gli sbarbatelli”, queste le parole intercettate dalle quali trapela la chiara intenzione di colpire il giornalista.


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