“Il primo dovere a Brancaccio è rimboccarsi le maniche. E i primi obiettivi sono i bambini e gli adolescenti: con loro siamo ancora in tempo, l’azione pedagogica può essere efficace”. Questo ripeteva sempre Don Giuseppe Puglisi, meglio conosciuto come Padre Pino Puglisi, il prete che insegnava nelle varie scuole di tutta la Sicilia. Il 15 febbraio del 1993, giorno del suo 56° compleanno, alle ore 22:45, la mafia lo uccide davanti al portone di cada sua, in Piazzale Anita Garibaldi. “Me l’aspettavo”, sarebbe stata la frase che Don Pino avrebbe pronunciato al suo killer prima di morire. Era sceso dalla sua Fiat Uno di colore bianca e si stava avvicinando al portone di casa, quando qualcuno alle sue spalle lo chiama e gli esplode diversi colpi alla nuca.”C’era la convinzione che il Centro “Padre nostro”, creato da don Puglisi, fosse un covo di infiltrati della polizia. Poi si scoprì che non era vero. Ma innanzitutto perché nelle prediche, a Messa, parlava contro la mafia e la gente sentiva questo suo fascino, soprattutto i giovani”. E’ il racconto di Salvatore Grigoli, uno dei killer di Don Pino Puglisi, autore di 46 omicidi, per Famiglia Cristiana. A venticinque anni dall’omicidio, il suo ricordo è ancora vivo e la città di Palermo si prepara ad accogliere Papa Francesco che vuole ricordare il Beato Pino Puglisi. Strade blindate, transenne e operatori ai varchi muniti di metaldetector che controllano le persone che entrano al Foro Italico per ascoltare le parole di Bergoglio a due passi dal mare. “Oggi è giorno di memoria e di impegno. Con questo spirito desidero unirmi a quanti oggi celebreranno e onoreranno il ricordo di Pino Puglisi: non si tornerà indietro rispetto a ciò che ci ha lasciato. E’ un impegno comune che riguarda tutte le istituzioni repubblicane e, al tempo stesso, ciascun cittadino e ogni componente della società”. Sono le parole che il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha diffuso attraverso un comunicato in ricordo di Don Pino.
“Le nostre iniziative e quelle dei volontari devono essere un segno per fornire altri modelli, soprattuto ai giovani, e cercare di smuovere le acque. In questa prospettiva ha senso anche premere sulle autorita’ amministrative perche’ facciano il loro dovere, tentare di coinvolgere il maggior numero di persone in una protesta per i diritti civili. Noi vogliamo rimboccarci le maniche e costruire qualcosa”. E’ ciò che diceva Don Pino nel gennaio 1993, quando inaugurò il centro Padre Nostro dopo essere stato nominato parroco di San Gaetano, quartiere di Brancaccio, nel settembre 1990. Era un quartiere difficile Brancaccio, con un’evidente stratificazione mafiosa che coinvolgeva anche i bambini che venivano strappati dalla loro innocenza per essere indotti al crimine. Don Pino Puglisi, attraverso i giochi e le varie attività del centro, faceva capire ai bambini che il rispetto degli altri si poteva ottenere senza commettere crimini, attraverso il proprio intelletto e i valori etici e morali. La città di Palermo era profondamente scossa dalla sanguinosa guerra di mafia che aveva portato all’ascesa di Totò Riina: i morti si contavano lungo le strade di una città che grondava di sangue e dolore. L’eco delle bombe di Via D’Amelio e di Capaci rimbombava nelle orecchie di un’Italia piegata in ginocchio dal dolore per una speranza svanita in una coltre di fumo nera. “Se ognuno fa qualcosa, allora si puo’ fare molto”, era il messaggio di speranza lanciato da Don Pino che oggi, risuona nel cuore di coloro che vogliono mantenere vivo il ricordo di un uomo che ha saputo donare se stesso per gli altri, con la speranza di poter innestare il seme della rinascita in un terreno arido e ombroso.
Fonte: L’Unione Sarda