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Come fermare (prima) la corruzione

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di Elisa Puvia

Generalmente, quando pensiamo al problema della corruzione la prima e costante preoccupazione è legata agli aspetti legislativi soprattutto in materia di contrasto.
L’ipotesi dalla quale siamo partiti volge lo sguardo ad una diversa dimensione, ovvero quella della prevenzione. In particolare, siamo convinti che per prevenire in maniera efficace il problema della corruzione occorra recuperare ed approfondire il fattore umano e organizzativo, ovvero il ruolo dell’individuo situato all’interno di un particolare gruppo di riferimento e all’interno di un determinato contesto organizzativo.
La prospettiva di analisi privilegiata è quella della prevenzione della corruzione nella Pubblica Amministrazione. In particolare, obiettivo generale del progetto, è stato quello di individuare un modello ragionato – in contrapposizione ad un’impostazione di mero adempimento burocratico – e situato – ovvero contestualizzato – di gestione del rischio del fenomeno corruttivo, testarlo e darne applicazione pratica partendo da un’analisi valutativa- organizzativa interna dei processi.
Nell’implementazione di questo percorso è stato privilegiato un approccio dal basso che ha visto il coinvolgimento e la partecipazione dell’amministrazione tutta, oltreché l’utilizzo di metodologie differenziate e mirate.
Ma cosa si intende con il termine corruzione? Interrogarsi sulla sua definizione, potrebbe assumere a prima vista le sembianze di un mero esercizio accademico. A ben vedere, la corruzione è un fenomeno umano estremamente complesso e come tale chiama in causa fattori diversi, in grado di declinarsi ed adattarsi ai contesti più variegati.
Definire cosa sia la corruzione in maniera univoca e completa rappresenta dunque un esercizio estremamente difficile. Evitando di addentrarci nell’ampio e articolato dibattito scientifico in materia, la lente interpretativa privilegiata per avviare il ragionamento è stata quella amministrativa contenuta nei documenti licenziati dall’Autorità Nazionale Anticorruzione (A.N.A.C.) a livello centrale (Piano Nazionale Anticorruzione) e le sue declinazioni periferiche (Piani Triennali di Prevenzione della Corruzione e della Trasparenza).
In questi documenti si mantiene un’accezione ampia di corruzione, comprensiva di atti, comportamenti che nel corso dell’attività amministrativa possono essere messi in atto e che anche se non consistenti in specifici reati, contrastano con la necessaria cura dell’interesse pubblico.
Una definizione di corruzione che si basi su un’accezione di questo tipo si delinea estremamente generica, mettendo in difficoltà lo studioso che voglia elaborare strumenti interpretativi del fenomeno al fine di elaborare efficaci strategie di prevenzione.
Tuttavia, comunque si guardi all’enorme gamma di definizioni presenti in letteratura, gli elementi costitutivi del concetto di corruzione in ambito amministrativo implicano la presenza di un fattore umano relazionale e organizzativo, ovvero l’esistenza di una rete di relazioni, formate da un gruppo di almeno due persone inserite in un determinato contesto e la presenza di risorse pubbliche (di varia natura) utilizzate impropriamente a fini privati.
Obiettivo principale della ricerca è stato quello di elaborare un modello che andasse ad integrare – e non a sostituire – le raccomandazioni licenziate da A.N.A.C. soprattutto per quel che riguarda l’analisi del contesto interno dell’amministrazione, attraverso il quale ottenere informazioni necessarie a comprendere in che modo il rischio corruttivo possa verificarsi come risultante delle caratteristiche specifiche dell’amministrazione.
Punto di partenza dell’intero processo è stata la conduzione di una serie di colloqui con i dirigenti responsabili di ciascuna area di cui l’Amministrazione in esame si compone, al fine di avere un riscontro della cultura organizzativa in materia di corruzione.
Successivamente è stata condotta un’analisi valutativa-organizzativa interna dei processi avente quale finalità l’individuazione di possibili aree di criticità anche attraverso la conduzione di interviste con i funzionari responsabili.
Importante, e a nostra conoscenza inedita, attraverso l’implementazione di uno strumento ad hoc, si è voluta indagare la dimensione sociale e cognitiva della corruzione, andando ad analizzare il ruolo di quei processi che si sono rivelati informativi del rapporto fra individui all’interno del gruppo di appartenenza.
In particolare, entitativity (entità), che possiamo considerare come un tentativo di catturare con gli strumenti analitici propri della psicologia sociale cognitiva quello che comunemente viene definito “senso oppure orgoglio di appartenenza” nei confronti dell’organizzazione di riferimento.
Ad esempio, è ciò che distingue una fila di persone all’interno di un ufficio postale (mero aggregato di individui) da una squadra di calcio (qualcosa di più e di diverso rispetto alla somma dei singoli giocatori).
Un secondo fattore è quello di intenzionalità, ovvero quanto le azioni del gruppo di appartenenza vengono percepite deliberate ed intenzionali, volte al perseguimento di un obiettivo. Infine, è stata indagata la dimensione di essenzialismo. Quando una categoria sociale (es. categoria dei corrotti) è percepita attraverso le lenti dell’essenzialismo, è vista come non modificabile e l’appartenenza alla categoria è percepita come fissa (es. “Un corrotto non può diventare onesto”), perdurante nel tempo (es. “Il fenomeno della corruzione è una delle costanti della nostra storia nazionale”), determinata da fattori biologici (es. “La corruzione è causata da fattori innati, una sorta di caratteristica degli italiani”).
L’adesione a credenze di questo tipo hanno implicazioni negative per le barriere motivazionali a cui possono dare adito nell’implementazione di misure di prevenzione. In maniera complementare, è stata indagata anche la dimensione personale-organizzativa, ovvero quei fattori di interlocuzione (formali ed informali) tra il singolo e l’organizzazione (es. obiettivi, sistemi di premialità, accountability), che a nostro avviso possono rappresentare un indicatore significativo della capacità dell’amministrazione di reagire alla presenza (anche potenziale) del fenomeno corruttivo.
Come più sopra evidenziato, obiettivo principale del presente lavoro di ricerca è stato quello di proporre un modello di gestione del rischio in chiave anticorruzione, testarlo – seppur in un contesto non rappresentativo come quello di una singola Prefettura – e darne applicazione pratica. La Prefettura di Massa-Carrara ha infatti fornito il proprio supporto tecnico nella redazione dei P.T.P.C. (oggi PTPCT) per il triennio 2016/2018 di 3 comuni della provincia di Massa Carrara (Aulla, Carrara e Massa) e dell’amministrazione provinciale, nei quali si è tenuto conto dei principi e linee guida del modello proposto.
Complessivamente, da questa attività di indagine è emersa un’immagine della corruzione come di un processo dinamico (in contrapposizione ad una definizione statica di appartenenza a categorie definite a priori), che può essere compresa a cominciare da un’analisi dei fattori di interlocuzione coinvolti a livello umano e organizzativo attraverso una dettagliata descrizione e conoscenza del contesto interno di riferimento.
Concludendo, la corruzione (ed il rischio che il fenomeno si verifichi), prima ancora di rappresentare un problema politico o giudiziario, è un fatto situazionale che dipende da un intreccio di fattori umani e organizzativi. Un’efficace prevenzione dipende dalla conoscenza di questi fattori.

Da mafie


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