Tra i grillini, Di Battista e Di Maio fanno il gioco delle parti. La Lega prosegue con le sue parole d’ordine sempre più dure e cattive
Di Pino Salerno
Mercoledì al Parlamento Ue di Strasburgo la Lega (con Forza Italia) dirà no alle sanzioni contro l’Ungheria di Viktor Orban mentre il M5S voterà a favore “per difendere gli interessi degli italiani”, come il Pd. Questo è solo uno dei temi, che non sono né pochi né di scarso rilievo, che dividono gli alleati di governo gialloverdi e che via via stanno venendo a galla. Così come emerge sempre di più una certa insofferenza nel Movimento rispetto alla sovraesposizione mediatica Di Matteo Salvini. In questo contesto va visto il duro attacco che dal Guatemala Alessandro Di Battista ha lanciato alla Lega sulla questione dei 49 milioni. “I primi cento giorni sono stati per noi un master di governo accelerato, adesso qualcosa deve cambiare. Va bene la linea di cercare una composizione nel governo, ma su alcune cose si deve intervenire, non ci possiamo negare il diritto di parola”, riflette un esponente pentastellato del governo.
Di Battista e Di Maio, il gioco delle parti, il primo movimentista e il secondo in grisaglia, per non perdere elettori
“La Lega restituisca il maltolto, deve restituire fino all’ultimo centesimo”, ha tuonato dunque Di Battista a Otto e mezzo su La7. Parole dure che Salvini ha liquidato come “una cosa interna ai Cinquestelle”, facendo intendere un contrasto tra “Dibba” e Di Maio. Che in realtà non c’è, almeno su questo. L’intervento di Di Battista è casomai l’inizio di una nuova linea dei pentastellati, intenzionati ad avere una doppia voce, come è accaduto anche in campagna elettorale: da una parte c’è Di Maio che mantiene un profilo istituzionale e di governo, dall’altra c’è la necessità di parlare ai propri elettori e di marcare la differenza dal Carroccio, per non correre il rischio di esserne fagocitati, per di più su temi sensibili come quello della legalità e della giustizia. E qui entra in campo Di Battista, con la sua capacità di interpretare gli umori della base. “E’ stato giusto dire quelle parole. Poi – riflette un M5s – c’è anche da pensare a una metamorfosi: la Lega ha una classe dirigente più esperta e una struttura territoriale che ci hanno penalizzato, bisogna pensare a un cambiamento per non subire la loro iniziativa”.
I nodi verranno al pettine nei prossimi mesi quando si affronteranno i temi economici
I prossimi mesi saranno decisivi. Sulla manovra una intesa di massima è stata raggiunta. Stamani, al termine di una riunione al Viminale, la Lega ha ribadito le proprie priorità: diritto alla pensione e lavoro per centinaia di migliaia di persone, pace fiscale e chiusura con Equitalia, flat tax. Da parte loro i Cinquestelle vogliono il reddito di cittadinanza. Tante, troppe, proposte, visti i vincoli di bilancio, che sembrano il fumo che punta a nascondere la verità. “Ma l’insieme dell’iniziative va visto nell’arco di 2-3 anni, la manovra sarà solo l’inizio”, spiega l’economista e deputato leghista Claudio Borghi, presidente della commissione Bilancio della Camera, assicurando che lo spazio per il reddito di cittadinanza ci sarà. In pratica le priorità delle due forze politiche di maggioranza saranno avviate adesso, ma completate in modo graduale. Come chiesto dal ministro dell’Economia Giovanni Tria. Il taglio dell’Irpef, ad esempio, va fatto, ha ribadito stamani, “in modo equilibrato, coerente e graduale” e il reddito di cittadinanza va “disegnato bene”. Oltre alla legge di bilancio, però, sono tante le partite su cui le divergenze politiche devono essere superate, a partire dalla gestione del disastro di Genova e dalla possibile revoca della concessione (a favore i Cinquestelle, quantomeno dubbiosi i leghisti).
E su infrastrutture e Rai le divisioni sembrano ancora più profonde
Ci sono questioni più generali, come le infrastrutture, con pareri diversi, ad esempio, sui progetti di Tav e Tap e il tema degli investimenti al Sud. I fondi per il Meridione sono attualmente al 28,8% del totale, il precedente governo aveva stabilito di portarli al 34%, con un incremento di 2-3 miliardi, ma questo confliggerebbe con gli interessi dell’elettorato del Carroccio. Tutti nodi che dovranno essere sciolti e che potrebbero portare a nuove e più consistenti fibrillazioni nella maggioranza, che potrebbero deflagrare sulla Rai, visto che, a ‘Porta a porta’, Matteo Salvini ha annunciato che “conta di vedere e sentire” Silvio Berlusconi, con il quale ci sono le “possibilità di trovare un accordo e non solo sulla Rai che è un’azienda che ha bisogno di correre e di crescere”.
Intanto, Di Maio pensa a un provvedimento punitivo sulla stampa libera. Dura la reazione della Fnsi
“Pd e FI che sembrava dovessero comandare per chissà quanto tempo oggi sono ridotti ai minimi termini e non sono in grado neppure di fare un’opposizione e si limitano a spargere falsità sul governo, usando i giornali e le tv da loro controllati. Ecco, l’odio dei media nei nostri confronti è l’elemento di continuità dal 2014 a oggi. Ma anche per loro sta arrivando il momento di dire addio ai finanziamenti pubblici indiretti e alle inserzioni milionarie delle aziende partecipate dello Stato che dettano loro la linea editoriale”, ha sottolineato il vicepremier Luigi Di Maio, nel post sul Blog delle Stelle in cui ha annunciato per il 20 e 21 ottobre prossimi la nuova edizione della kermesse M5s Italia 5 stelle, al Circo Massimo, a Roma. Durissima la reazione della Federazione della stampa: “Dichiarare guerra ai cosiddetti ‘editori impuri’ annunciando norme di legge punitive, come fa il vicepremier Luigi Di Maio, ha il sapore di un’intimidazione e di un attacco alla libertà di stampa, garantita dall’articolo 21 della Costituzione. Il modo migliore per affrontare il problema è quello di passare dagli spot agli atti concreti. Questo significa sciogliere il nodo delle leggi di sistema, dalle norme antitrust alla regolazione dei conflitti di interessi, passando per la cancellazione del carcere per i giornalisti e il contrasto alle querele bavaglio. Temi sui quali dal governo in carica ci si aspetterebbe un confronto con tutti gli attori del sistema dell’informazione, esattamente come avvenne nel 1981, quando si giunse all’approvazione della legge sull’editoria, la numero 416, tuttora in vigore”, scrivono in una nota Raffaele Lorusso e Giuseppe Giulietti, segretario generale e presidente della Federazione nazionale della Stampa italiana.
“Va purtroppo constatato – proseguono – che, al di là dei proclami e degli annunci di misure liberticide, nessuna chiara volontà di invertire la tendenza è stata dimostrata fino ad oggi dal governo. Non a caso, sono stati proprio l’esecutivo e le forze di maggioranza a bocciare un emendamento al cosiddetto ‘decreto dignità’ che puntava a contrastare la precarietà lavorativa nel settore dell’informazione, un precedente poco dignitoso che non lascia intravedere nulla di buono”.