Trovi i soldi per il contratto di governo o torni a casa. Sotto tiro il Ragioniere generale dello Stato? L’Ocse rivede al ribasso la crescita? Tacete burocrati
Di Alessandro Cardulli
Da quando Di Maio è diventato vicepremier, oltre a ricoprire l’incarico di ministro per lo Sviluppo economico e di ministro del Lavoro, giorno per giorno cresce in arroganza. Guai a contraddire Giggetto, lui se ne sta con il sorriso stampato sulla faccia, pare che sorrida anche quando dorme, padrone dei mille saperi, dell’Italia e del mondo. In particolare il suo forte non è certo l’economia ma guai a contraddirlo. Salta su come una tarantola, Salvini al suo confronto sembra un buontempone. In particolare, in questo periodo, mentre si avvicina il giorno fatale in cui il governo dovrà presentare l’aggiustamento al documento di economia e finanza, quello predisposto dal governo Gentiloni, e poi a metà ottobre il Bilancio di cui il ministro Tria ha discusso con i Commissari Ue le linee generali, diventa sempre più irritabile.
Brexit e Italia possono impedire all’Europa di prosperare
Per non parlare dell’Ocse, l’organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo che si è permessa di rivedere le stime della crescita prevista all’1,2% per quest’anno e all’1,1% per il prossimo con un calo di 0,2 punti percentuali. Subito bacchetta Boone, capo economista dell’organizzazione, il quale affermava che “Brexit e l’Italia sono tra i principali rischi che potrebbero impedire all’Europa di prosperare”. L’avesse mai detto. Il Di Maio salta su come un grillo con la g minuscola perché non si permetterebbe mai di fare un torto al suo capo anche se ora sembra un po’ a riposo avendo lasciato a Casaleggio il compito di gestire la baracca. Il vicepremier strilla: “L’Ocse non deve intromettersi nelle scelte del governo democraticamente eletto dai cittadini”. Ci permettiamo di far presente che il governo è il frutto di un accrocchio fra due partiti, o come li vogliamo chiamare, che in campagna elettorale si erano fatti la guerra e poi hanno siglato un contratto su alcuni problemi, flat tax, reddito e pensione di cittadinanza, revisione della legge Fornero. Poi il Di Maio tira fuori il ritornello preferito: “I due terzi degli italiani sono con noi. I burocrati (gli economisti dell’Ocse ndr) se ne facciano una ragione. Siamo stati eletti anche per questo e manterremo l’impegno con la legge di Bilancio”.
Il vicepremier: che sarà mai far salire il deficit oltre il 2%
Dato un colpo ai burocrati il Di Maio prende di mira il ministro dell’Economia e Finanza, il Tria. Parte da lontano. Ti fa sapere che con lui c’è perfetta sintonia. Ma mentre il Tria ha posto dei paletti per quanto riguarda il debito pubblico, il deficit, lui ormai si muove a ruota libera in concorrenza con Salvini. “Che sarà mai”, dice parlando dalla Cina, dove si vanta di aver concluso affari d’oro, ora pare diventato anche il ministro del Commercio estero, “far salire il deficit oltre la soglia del 2%”. Mentre faceva questa affermazione, il ministro Giovanni Tria in audizione al Senato confermava la linea di apertura su pensioni e reddito di cittadinanza ma nel rispetto degli equilibri di bilancio all’Europa. Per lui l’argine di sicurezza si situa all’1,6% del rapporto tra deficit e Prodotto interno lordo. Affermava infatti: “Si conferma che l’obiettivo dell’esecutivo è quello di assicurare la graduale realizzazione degli interventi di politica economica” contenuti “nel contratto di governo, compatibilmente con le esigenze di mantenere l’equilibrio dei saldi strutturali di finanza pubblica”. Molto chiaro il ministro. Entro la fine di settembre con il Def “si provvederà a definire il quadro delle diverse misure volte ad assicurare l’attuazione del contratto di governo che troveranno concreta attuazione nella legge di Bilancio”. In merito all’ipotesi di far salire l’Iva per reperire risorse necessarie per la realizzazione del contratto si limitava a dire che “rispetteremo le risoluzioni del Parlamento” che impegnavano il governo a sterilizzare gli aumenti.
La possibilità di aumentare l’Iva, ipotesi sul tavolo del governo
Ma un altro esponente del governo, il viceministro Garavaglia sottosegretario all’Economia ha continuato a parlare della possibilità di aumentare l’Iva definendola una “ipotesi sul tavolo seppure non ufficiale del governo”. Sulle misure che interessano i pentastellati, reddito di cittadinanza, Tria ha sottolineato che sono “in corso da tempo approfondimenti tecnici tra le amministrazioni coinvolte sia per la configurazione delle diverse misure sia per la definizione della platea dei beneficiari in linea con le indicazioni del contratto di governo”. Per quanto riguarda la pace fiscale, un condono mascherato, voluto dalla Lega, Tria ha menato il can per l’aia nel tentativo di schivare i colpi a pallettoni lanciati dal Salvini: “Parlare di pace fiscale non significa varare un nuovo condono”, ma piuttosto significa “fisco amico” e “incremento della tax compliance”, con “iniziative di aiuto ai cittadini in difficoltà”. Ha definito “impossibili” allo stato attuale le stime di gettito della misura. Di Maio non ha gradito gli “approfondimenti tecnici”. Circolano voci negli ambienti ministeriali che il vicepremier sarebbe intenzionato a far fuori funzionari e tecnici amministrativi che non si dimostrerebbero “amici del governo”. Si parla addirittura del Ragioniere generale dello Stato. Il vicepremier, sempre dalla Cina, ha ribadito che “questo è un governo compatto”, ma subito dopo una minaccia non troppe velata rivolta al ministro Tria: “Un governo serio trova le risorse, perché sennò è meglio tornare a casa, è inutile tirare a campare”. Si fa il caso che a trovare le risorse dovrebbe essere proprio il ministro Tria. E che il Di Maio a tornare a casa non ci pensa proprio.
Quando i numeri diventeranno Def. Bilancio: si gioca a carte scoperte
È in questo quadro, molto mobile, che ci si avvicina sempre più al momento della verità, quando il governo dovrà scoprire le carte e i numeri che oggi si rincorrono negli articoli dei giornali, nelle dichiarazioni di ministri, sottosegretari, economisti autonominatisi tali, diventeranno Def, Bilancio dello Stato. Impressiona anche la leggerezza, per non dire di peggio, con cui i media ogni giorno raccontano una storia, i numeri rimbalzano, perdono di valore. Non si pensa che a quell’uno per cento, i vincoli di bilancio, la crescita, che non c’è sono legate condizioni di vita e di lavoro di milioni di persone. Non è un caso che la parola “investimenti”, unica possibilità di creare nuovi posti di lavoro stabile, non venga mai pronunciata dai Di Maio e i Salvini. Non solo. Da tener presente che solo per centrare gli obiettivi concordati con la Ue la riduzione di spesa o le maggiori entrate per il 2019 non possono essere inferiori a 20 miliardi. Altro che le panzane di Di Maio e Salvini con l’aggregato Conte che ogni tanto fa sapere che c’è.
“Se l’argomento è già complicato di suo – scrive su Rassegna sindacale, Roberto Romano, dipartimento economia università di Bergamo – dobbiamo purtroppo introdurre un’altra variabile: gli obbiettivi tendenziali inseriti nel Def di aprile. Relativamente al 2019, il deficit nominale indicato nel Def è pari allo 0,8% del Pil, mentre il deficit strutturale è pari allo 0,6%. Se le previsioni della Commissione sono corrette e le proiezioni del Def sono la cornice per la legge di bilancio, senza considerare le potenziali flessibilità che l’Europa potrebbe concedere (4), la riduzione di spesa o le maggiori entrate per il 2019 non possono essere inferiori a 20 miliardi, solo per centrare gli obbiettivi concordati con l’Ue”.
Sarebbe il caso di migliorare perlomeno l’allocazione delle risorse pubbliche
“Il fatto è – prosegue Romano – che indipendentemente dagli obbiettivi del contratto di programma, che hanno un costo, la manovra economica vale almeno 15 miliardi, escludendo per il momento le clausole di salvaguardia (12,5 miliardi di euro) che il ministro Tria intende disinnescare. La manovra economica diventa, quindi, estremamente complicata senza ulteriori margini di flessibilità. Se poi consideriamo le minori entrate (2,5 miliardi) legate alla minore dinamica del Pil, la maggiore spesa per il servizio del debito (4 miliardi) e le spese obbligatorie (3,5 miliardi), il quadro di riferimento diventa abbastanza stringente”. Afferma l’economista: “È sicuramente possibile rimodulare molte delle spese in essere – il bonus Renzi, che vale 10 miliardi, i benefici strutturali alle imprese, pari a quasi 9 miliardi, un ridisegno della cosiddetta tax expenditures, che coinvolge 466 sconti fiscali, corrispondenti a minori entrate per 55 miliardi di euro ecc. È un lavoro difficilissimo, ma sarebbe il caso di migliorare almeno l’allocazione delle risorse pubbliche, affinché sia possibile aumentare l’effetto della stessa”. Già, le risorse pubbliche. E pensare che il governo con un voto di fiducia al Senato ha perfino bloccato i fondi destinati alle periferie. Ed ha rotto con le amministrazioni comunali.