“Se ci fosse stato il taser, Federico Aldrovandi sarebbe ancora vivo. Lo sostiene, in un’intervista al ‘Resto del Carlino’, Antonio Sbordone, questore di Reggio Emilia, già a capo della polizia ferrarese, a proposito del caso del ragazzo di Ferrara che nel 2005 morì durante un controllo di polizia. Una sorta di ammissione di colpa che apre nuovi scenari su questo atroce episodio di violenza da parte di forze dell’ordine nei confronti di cittadini inermi.
Quattro agenti sono stati condannati per eccesso colposo nell’uso legittimo delle armi.
“Io ho visto – ha detto – cosa è accaduto a Ferrara dopo il caso Aldrovandi, anche se non ero io il questore presente quell’anno. Questo ragazzo, se ci fosse stato il taser, sarebbe ancora vivo. Per fermare un giovane alto un metro e 90 agitatissimo hanno dovuto usare anche i manganelli”.
“Federico è morto perché hanno continuato a pestarlo, schiacciarlo e a dargli calci nella testa quando era già stato immobilizzato e stava chiedendo aiuto. Mi dispiace che si possa giustificare uno strumento pericolosissimo come il taser con questo paragone che non ha senso” il commento di Patrizia Moretti, madre di Federico.
“Il taser – ha poi sottolinea – è un’arma: il problema è la formazione e la cultura dei rapporti con le persone di chi usa strumenti che possono essere letali”. La donna contesta anche l’affermazione secondo cui i poliziotti, quella sera del 2005, dovettero usare i manganelli “per fermare un giovane agitatissimo di un metro e 90”. “Federico era alto un metro e 75 e pesava 60 chili – ha concluso la madre di Federico – evidentemente l’ex questore di Ferrara non si è informato bene, poteva almeno leggere le carte”.