Addio a Vincenzo Gallo, meglio noto come Vincino, palermitano, classe 1946, nato e morto vignettista, convinto che la pesantezza del mondo e le malefatte della politica potessero essere, in qualche modo, riscattate dalla leggerezza di un tratto di matita.
Vincino, con i suoi disegni appena abbozzati, le sue battute caustiche e veloci, la sua sincerità, il suo profondo disprezzo per ogni forma di barbarie e la sua levità nel farsi carico degli orrori della nostra civiltà.
Vincino, che già a undici anni metteva a partito i ciarlatani sulle colonne del Missile, un giornalino fondato da un gruppo di maestre amiche della madre e diffuso nelle scuole palermitane, per poi passare a L’Ora, nella Palermo di Ciancimino e della mafia all’apice della sua bestialità, e infine lasciarsi travolgere dal vento caldo del Sessantotto.
Disse una volta, riferendosi alla generazione dei padri: “Voi avete avuto la guerra, noi il Sessantotto” e da lì derivò la sua esperienza in Lotta Continua, prima di sposare la sua arte con il genio di un altro magnifico “sciacallo” come il toscanaccio Vauro Senesi. Da lì Il Male, le copertine in cui si prendevano gioco delle prime pagine dei grandi giornali, gli annunci surreali come quello sul prezzo della benzina portato a 1.500 lire, quello su UgoTognazzi capo delle BR e quello in cui, nel ’78, annunciavano l’annullamento dei Mondiali. Altri tempi, altre stagioni, altra capacità di ironizzare, nonostante stessimo attraversando uno dei periodi più bui della nostra storia recente.
E poi Il Clandestino, Tango, Cuore, trasferendo il suo gusto nel prendersi gioco dei potenti anche all’interno di testate caratterizzate, fino al suo arrivo, da un rispetto mai accondiscendente ma comunque assoluto per le istituzioni.
Da ventidue anni, fin dalla fondazione, la sua beata follia aveva trovato a casa al Foglio: una stecca nel coro, un anticonformismo delizioso, una cultura che gli consentiva di essere il più informato degli anti-sistema e il più feroce nel condannare mostri e mostriciattoli. E più questi erano sacri, o considerati tali, più la sua matita giungeva, prontamente, a ridimensiionarli, riconducendo i veri grandi a dimensioni più umane e i cialtroni pieni di sé all’unica dimensione che appartiene loro, al netto degli eccessi di riverenza con cui la nostra categoria è solita omaggiarli.
Era un giornalista anche lui, sì, ma più bravo. A lui bastavano poche righe e un personaggetto stilizzato per dire tutto, comparendo in mezzo ad un oceano d’inchiostro e riuscendo, il più delle volte, ad increspare le acque della palude.
Complimenti a lui e a chi gli ha consentito, fino all’ultimo, di esprimersi liberamente, tanto lo avrebbe fatto lo stesso.
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