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Verso Assisi, per riflettere anche su un linguaggio deviato, volgare e sessista…

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Il cammino verso Assisi non può che essere la tappa di un cammino partito da lontano e che andrà oltre Assisi stessa. Un cammino di riflessione sulle responsabilità e sulle potenzialità dell’informazione, infatti, è un cammino dinamico, non può fermarsi ad un evento o alla Carta di Assisi che in parte richiama quanto ci stiamo dicendo da tempo per migliorare il nostro essere giornaliste e giornalisti.

Prendiamo Assisi come una tappa per rallentare, fermarci e riflettere su chi siamo, dove siamo arrivati e su cosa si aspetta la gente da noi. Proviamo a riflettere se la gente si aspetta da noi un linguaggio deviato, volgare e sessista, come già fanno molti di noi, tra cui firme note. Rallentiamo per riflettere se al diritto alla parola contraria possa corrispondere la licenza di abusare dei social per mettere al pubblico ludibrio o per violentare verbalmente chiunque la pensi diversamente. Che amarezza leggere su facebook la reazione scomposta di un collega ad un altro collega che citava un passaggio de “Il fascismo eterno” di Umberto Eco. Per migliorarci può essere di aiuto il primo punto del Manifesto di Assisi: “Non scrivere degli altri quello che non vorresti fosse scritto di te. Scrivere significa comunicare. Comunicare significa comprendere. L’ostilità rappresenta una barriera insormontabile per la comprensione”. Oserei aggiungere: scrivere concorre anche ad educare al linguaggio rispettoso degli altri.

Abbiamo troppo bisogno di ripensare ai comportamenti personali e sociali perché il carattere della nostra professione inevitabilmente ci espone e ci rende soggetti pubblici. Non possiamo non tenere conto delle ricadute sulle comunità nell’esercizio della parola, sia quando scriviamo al pubblico, sia quando parliamo in contesti meno pubblici. E non possiamo non tenere conto che i numeri diventano ancora più importanti quando si tratta di enumerare persone. Nel ricordare le cifre delle vittime del terremoto del 24 agosto 2016 nell’Italia centrale, qualcuno ha scritto: “Il bilancio arriverà a sfiorare i 300 morti (299)”. La cifra reale è stata riportata tra parentesi. Nel linguaggio televisivo e radiofonico è stato più facile dire “trecento” anziché “duecentonovantanove”. Anzi, ha fatto risparmiare qualche secondo alla durata dei testi. Ma 299 è uguale a 300? Perché far morire una persona in più. Non stiamo forse parlando di persone? La dolorosa conta dei morti spesso è difficile quando si parla di carestie, guerre e genocidi, in particolare in contesti dove una dittatura architetta la criminale strategia di non rendere rappresentabile il male che sta compiendo. Ma anche in queste situazioni, arrotondare per semplificare può diventare un linguaggio complice delle dittature e tende a far morire due volte ogni vittima. Il punto 4 della Carta di Assisi raccomanda: “Impara a dare i numeri. Quando scrivi ricorda sempre di integrare le opinioni con tutti i dati utili a una corretta informazione”. Oserei aggiungere: soprattutto quando si parla di persone, ricordiamoci che ad ogni numero corrisponde un essere umano.


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