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Verso Assisi, contrastare l’odio è un dovere collettivo

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Quando ci ritroveremo ad Assisi, a ottobre, l’estate sarà finita. Un’estate piena di dolore e di lutti. Un’estate piena di parole, inutili a risolvere problemi ma utili a confondere, illudere e manovrare ansie e inquietudini. La fabbrica della paura e del rancore non ha conosciuto ferie.

In continuità con una campagna elettorale piena d’odio, le parole di quest’estate sono state intrise di veleno: divisive, incendiarie, gravissime eppure sempre più “accettate”, capaci di smantellare un po’ alla volta l’edificio stesso della convivenza civile. Il prossimo passo rischia di essere la convivenza incivile. Poi, il trionfo dell’inciviltà sulla convivenza.

Come la Storia c’insegna, quello tra il discorso d’odio e il crimine d’odio è un confine (quello sì!) aperto e facilmente valicabile.

L’estate che ad Assisi sarà terminata sarà stata quella del tiro al segno chiamato “goliardia”, del “provare l’arma per vedere se funziona”, del “prendere di mira un piccione”. L’estate delle “spiagge sicure” e dei ponti insicuri; dei porti chiusi e dei ghigni aperti.

Contrastare l’odio, che già avvertimmo come una pressante esigenza l’anno scorso, diventa oggi un dovere collettivo, cui non è più possibile sottrarsi minimizzando, giustificando, satireggiando. Cose che non abbiamo mai fatto noi, ma che dovremmo convincere altri a non ripetere. Perché, da tempo, non basta più.


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