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Screens Wide Shut, tra cinema e massoneria

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Un volume insolito, una narrazione intrigante al confine con la saggistica. Una ricerca capillare di carattere storico-analitico dei rapporti tra cinema e massoneria.

Tutto questo è Screens Wide Shut (Rogas Edizioni) di Vincenzo Sacco, classe ’87, già autore di “Pornozeus” e “Il ragazzo che non voleva morire”, direttore della divisione distribuzione di Altre Storie, società all’interno della quale partecipa allo sviluppo e alla realizzazione di film per cinema e televisione.

“Il cinema non è segreto eppure si compone di tante verità, e non è questa la medesima materia di cui si ammantano i segreti?” Pare dunque che cinema e massoneria corrano su binari paralleli. Da queste premesse Sacco porta avanti una narrazione che si dipana per 11 capitoli, suddivisa in tre parti. La prima parte dell’opera si concentra sulla storia della massoneria al cinema, mentre la seconda procede ad una accurata analisi del simbolismo massonico al cinema, operata direttamente sui fotogrammi. La terza parte infine punta a ideali ricostruzioni di una storia e una geografia cinematografiche seguite da una retrospettiva sui legami possibili tra registi e altre figure della settima arte di nota affiliazione massonica.

“Vivere nel mondo senza avere consapevolezza del suo significato è come vagabondare in una immensa biblioteca senza neppure toccare un libro”. E’ questa la citazione de “Il simbolo perduto” di Dan Brown che Sacco ha scelto per le considerazioni conclusive di quest’opera di oltre 350 pagine. “Abbiamo rivoltato come un guanto l’archivio filmografico nel tentativo di far venire a galla misteri sepolti. Ne è emersa una realtà già da tempo visibile”.

Il volume di Sacco è una lettura intrigante, curiosa di un terreno finora mai esplorato. Forse per un pubblico di nicchia, ma decisamente riuscita.


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