“Nessuno ha la scabbia. Nessuna malattia infettiva. Certo, li abbiamo trovati malnutriti, molto provati da un viaggio durato un anno e qualche mese e vissuto di stenti. Hanno mangiato per tutto questo periodo un piatto di pasta diviso in otto al giorno e un quarto d’acqua ogni due giorni. Questa, ci hanno raccontato, era la razione di cibo per molti di loro”. Angelo Chiorazzo, direttore dell’Auxilium (la cooperativa che si occupa tra l’altro anche della gestione del “Cas” di Rocca di Papa) parla subito delle storie che i 100 migranti eritrei, sbarcati dalla nave Diciotti, hanno vissuto sulla loro pelle prima di arrivare qui. 92 uomini e 8 donne, tra cui 4 coppie, tutti eritrei.
“Molti – aggiunge Chiorazzo – sono stati anche venduti durante il viaggio passando da una banda all’altra. Un ragazzo ci ha raccontato che la famiglia ha pagato 9mila e 300 dollari. Tutto questo ci dimostra quanto siano importanti i corridoi umanitari per togliere questi ragazzi dalle mani di criminali senza scrupoli”.
Ora com’è la situazione? Cosa stanno facendo?
Abbiamo finito tardissimo. Erano le 5.30 di questa mattina quando sono finite le operazioni di accoglienza. Hanno dormito, hanno pranzato e alle 16 inizieranno le prime visite con gli psicologi e le varie attività.
Ci saranno colloqui personalizzati con gli psicologi. A cosa sono finalizzati?
Innanzitutto, ognuno di loro ha un passato terribile di almeno uno o due anni e quindi necessita di un sostegno psicologico. Hanno poi bisogno di cominciare a parlare qualche parola di italiano e soprattutto di capire dove sono. Sono smarriti. Non sanno in quale città italiana si trovano. Dovranno poi essere informati sulle regole fondamentali del nostro Paese e sui diritti di protezione internazionale che loro hanno in quanto eritrei. Il primo colloquio, comunque, è anche conoscitivo. Dobbiamo cioè sapere il perché sono venuti in Italia, se hanno familiari o amici in Italia perché, anche in base a queste informazioni, la Caritas deciderà in quale diocesi mandarli. E’ ovvio che se hanno familiari a Milano piuttosto che a Bologna si sceglierà la destinazione.
Quanto dureranno queste procedure?
Noi e la Caritas stiamo lavorando incessantemente. Sarà quindi questione veramente di qualche giorno. Le disponibilità arrivate dalle diocesi sono tantissime e possono coprire abbondantemente la richiesta.
Questa storia si può dire ormai finita e finita bene. Ma a suo parere, quali lezioni per il futuro lascia?
Posso rispondere raccontando il sentimento che abbiamo vissuto quando sono arrivati. E’ stata un’emozione incredibile vedere gli occhi di questi ragazzi che finalmente potevano sentirsi al sicuro. Cominciavano a sorridere con gli occhi. Occhi che esprimevano anche una grandissima gratitudine per il Papa. Quando gli abbiamo detto: “Siete ospiti della Chiesa italiana e di Papa Francesco”, è scattato un applauso bellissimo. Abbiamo davvero vissuto qui una grande lezione del Papa di accoglienza e di carità. Vede, quando uno conosce le storie di questi ragazzi, non credo ci sia nessuno che possa mettere in discussione che l’unica via è quello dell’aiuto. Politicamente bisogna capire come attuarlo, perché come dice il Papa ci vuole prudenza anche nell’accoglienza ma una cosa è certa: la soluzione non è quella di lasciarli in Libia.
Tra striscioni di benvenuto e manifestazioni di proteste, che Italia è emersa in questi giorni?
Credo che la stragrande maggioranza degli italiani siano persone che aprono le porte e il cuore. Sono assolutamente convinto di questo. Ma c’è anche un livello di rancore in Italia sul quale bisogna lavorare perché si deve ritrovare tutti la ragione e capire che questo clima non fa bene al Paese, non fa bene a nessuno.
E che Chiesa italiana emerge?
Una Chiesa che ha un orizzonte immenso e che, rispetto ai problemi che ci sono, apre con soluzioni che altri non vedono. E’ quindi una Chiesa che ha dimostrato di essere capace di guardare lontano, che spiazza proponendo vie di soluzioni possibili. Una Chiesa che sicuramente non dipende da nessuno.
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