C’è un filo che lega il crollo del ponte Morandi a Genova, che ha causato la morte di oltre 40 persone, con i morti, in questo caso 10, del parco del Pollino in Calabria. Non si è trattato di una fatalità, tutto poteva essere previsto, tutto poteva essere evitato. Le gole del Raganello sono uno spettacolo che la natura ha creato in milioni di anni, un canyon di una bellezza senza pari che nel suo punto più importante attraversa il “ponte del diavolo” di cui non si conosce il periodo di costruzione (alcuni storici ipotizzano addirittura il medioevo) realizzato proprio per evitare l’attraversamento delle gole. Evidentemente gli antichi conoscevano bene la pericolosità del torrente, così come sapevano che il microclima di tutta quella zona, soprattutto in estate, crea delle forti correnti ascensionali calde, provenienti sia dalla costa tirrenica che da quella ionica, correnti che impattano con l’aria più fredda che staziona sulla cima del Pollino e crea quelle che in gergo giornalistico vengono definite “bombe d’acqua”, il termine tecnico è “flash flood” (alluvione improvvisa). Proprio una di queste “bombe” è caduta nella giornata di lunedì 20 agosto nel centro del parco, in tutta la parte del comune di Civita (siamo in provincia di Cosenza), pioggia che ha ingrossato in pochi minuti il torrente che attraversa la gola, trascinando via gli escursionisti che si trovavano sul posto con una guida. Una guida esperta, raccontano le cronache delle principali testate italiane accorse in massa sul posto, aveva partecipato anche ai soccorsi dell’hotel Rigopiano in Abruzzo. Rigopiano, il filo delle tragedie annunciate si allunga ancora di più.
“L’imprevisto in questo caso non esiste – ha raccontato al telefono una guida che frequenta il parco da quasi 40 anni – c’è una regola assoluta: con il maltempo non si va in escursione”. E nelle sue parole la sensazione che la tragedia poteva essere evitata. “Sono anni che chiediamo un regolamento – ci dice – soprattutto per l’ingresso nelle gole. A volte è capitato di trovare persone inesperte che da sole girano all’interno del canyon. Quella è una parte che va attraversata con attrezzature speciali, muta e casco, perché non c’è solo il pericolo della piena, ma anche quello del distacco di parti di roccia perché la gola è alta quasi 800 metri, tutta friabile e bastano poche gocce di pioggia per far venire giù qualche pezzo”.
In effetti un tentativo di regolamentare gli accessi era stato fatto qualche mese fa. Nel mese di marzo, secondo quanto riportato dal sito della testata Corriere della Calabria, si parlava dell’imminente attuazione del regolamento “Gole sicure” stipulato tra il Comune di Civita, l’Ente parco, l’Ente gestore della riserva naturale, con l’ausilio del soccorso alpino. Disposizioni rimaste solo sulla carta. Ancora una volta, ora, dovrà essere la magistratura a delineare un quadro preciso della vicenda ed accertare eventuali responsabilità. Come a Genova, Rigopiano, San Giuliano di Puglia e nelle tante, troppe, tragedie annunciate d’Italia .