L’immunità ministeriale è come il trucco: c’è, ma non si vede. Prendiamo Salvini, che offre i polsi ai magistrati chiedendo di essere arrestato, in modo da passare per martire della difesa degli italiani dalla pseudo-invasione degli esausti e sequestrati migranti della Diciotti. Ebbene, la scena – benché suggestiva per i catto-sovranisti e strappa-like per i suv-muniti – è fasulla.
Infatti l’eroe felpato e ruspante (per ricorso a felpe e ruspe) non rischia nulla e lo sa. Male che vada la Procura, passato il primo filtro del Tribunale dei Ministri, deve comunque chiedere l’autorizzazione a procedere alla camera di appartenenza (il Senato, in questo caso, visto che il leghista è senatore). Ma qui, si decide con voto di maggioranza, detenuta ovviamente dai partiti governativi. E un ministro – parte del Governo – non viene mai abbandonato dai propri compagni di schieramento agli accertamenti processuali. Così, la fa regolarmente franca.
Ce n’è abbastanza per sollevare un’eccezione di incostituzionalità per violazione del principio di uguaglianza, ma questa immunità è ben camuffata da garanzia del potere politico nei confronti di eventuali iniziative esorbitanti da parte della magistratura. Così, dopo le infondate accuse di B per un uso politico dei processi, vi è invece l’accertato abuso di garanzie politiche come scappatoia processuale dei ministri.
Morale: Salvini potrà continuare a sequestrare derelitti anche nei prossimi sbarchi, senza mai rischiare nulla. Perché la legge non è uguale per tutti.
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