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Genova. I 43 morti, i tanti feriti e quel ponte “sbagliato”

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Rancore più che pietà, vendetta più che giustizia. L’immane tragedia di Genova ha innescato questi sentimenti in un’opinione pubblica stanca ed avvelenata. I 43 morti, i tanti feriti e quel ponte “sbagliato” che crolla assieme a tante certezze, avrebbero forse avuto bisogno di raccoglimento, riflessione e rispetto, ma i tempi -nell’era dei social media- sono accelerati e sommari e quindi bisogna indicare subito un nemico da abbattere, dare l’illusione che tutto sia comprensibile immediatamente e che al più presto i responsabili saranno puniti. L’opinione pubblica, non solo chi è stato sconvolto dai lutti, ritiene i rituali delle indagini e della giustizia troppo lenti, quasi “disumani”. Ecco, allora, che chi rappresenta lo stato sovverte le regole, accelera le conclusioni, emana sentenze e rinforza il suo consenso, già molto alto.

Applausi e fischi in chiesa –paradossalmente- consolidano il rapporto tra stato ed “antistato”. Applausi alla figura dolente e rassicurante del presidente Mattarella, ai vigili del fuoco e a tutti i generosi soccorritori, addirittura all’iman che ricorda il morto mussulmano. Applausi soprattutto a Di Maio e Salvini, i “vendicatori” che promettono giustizia immediata, forse sommaria. Fischi agli esponenti del Pd, che ormai, nell’immaginario collettivo, sono diventati colpevoli di tutto e di più, complici di tutti i “poteri forti”. E poi ci sono i colpevoli probabili e perfetti, la famiglia Benetton, azionista di riferimento di Autostrade per l’Italia, responsabile per contratto milionario –in parte, chissà perché, secretato- del ponte che poi è crollato. I Benetton –indifendibili- sono troppo perfetti, belli, cosmopoliti, illuminati e soprattutto troppo ricchi con i soldi dei pedaggi che gli italiani (e non solo) pagano profumatamente per viaggiare in autostrada.

Eppure, quel ponte, che è stato orgoglio dell’ingegneria italiana negli anni Sessanta, veniva monitorato e riparato in continuazione, probabilmente perché era “sbagliato”, come aveva detto chiaramente un ingegnere qualche anno fa, e –come se non bastasse- sopportava da anni un traffico quattro volte superiore per quello che era stato progettato. Ma un comico famoso genovese aveva detto che questa era una “favoletta” e che sarebbe durato altri 100 anni. Gli italiani hanno creduto al comico invece che all’ingegnere, e così non si è fatta la variante, detta la “Gorla”, che avrebbe potuto alleggerire il traffico e forse permettere il rifacimento del ponte. E adesso applaudono quel pezzo di “antistato” che –con un consenso senza eguali- è diventato stato. Del resto, la diffidenza degli italiani per lo stato è antica e motivata. Salvo momenti epici e tragici, come il Risorgimento e la Resistenza, sono stati presi a cannonate (1898) quando protestavano per i loro diritti, sono stati trascinati in una guerra senza speranza e senza risorse dal fascismo, e poi, nel corso della lotta al terrorismo, troppe volte abbiamo avuto il sospetto che le stragi fossero “di stato”, visto che i mandanti di questo lungo fiume di sangue sono ancora ignoti e a malapena conosciamo gli esecutori.

E poi c’è la burocrazia, che si inventa una “antilingua”, come l’aveva chiamata Calvino, per confondere e irretire i suoi “sudditi”. Dentro di noi abbiamo ancora la metastasi dell’ “antistato”, che si chiama mafia, camorra ‘ndrangheta; è “antistato” chi si “difende” dalle tasse, che servono a pagare la scuola, la sanità e le forze dell’ordine, con livelli di evasione fiscale spaventosa; è “antistato” chi si affida alle scorciatoie della corruzione, che demoliscono regole e meritocrazia.

Ma adesso, finalmente, le cose cambieranno e puniremo subito i colpevoli. Eppure quegli applausi, quei fischi e soprattutto quei “selfi” davanti alle bare, mi sembrano vagamente blasfemi, ma devo pensarlo sottovoce.

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