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Free media day, la lezione americana

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La stampa americana respinge gli attacchi della politica. Con una serie di editoriali pubblicati oggi da quotidiani piccoli e grandi, giornalisti ed editori chiedono il sostegno dell’opinione pubblica contro chi, a cominciare dal presidente Donald Trump, prova ogni giorno a minarne la credibilità. L’iniziativa, partita dal Boston Globe, è stata ripresa da numerose testate in tutto il Paese. Una mobilitazione straordinaria, senza precedenti, che chiama tutti alla difesa di uno dei pilastri della democrazia americana. “A free press needs you”, titola in prima pagina il New York Times, invitando i lettori a sostenere i giornali delle comunità in cui vivono. “Lodateli quando pensate che hanno fatto un buon lavoro, criticateli quando pensate che avrebbero potuto farlo meglio”, scrive il principale quotidiano della Grande Mela. Nell’editoriale si ricorda il valore della libertà di stampa in America. “Criticare i giornali, perché sottovalutano o ingigantiscono le notizie, è assolutamente giusto – si legge -. Giornalisti ed editori sono umani e sbagliano. Correggere gli errori è nostro dovere. Ma insistere nel classificare come “fake news” le verità che non piacciono è pericoloso per la vita della democrazia. Ed è pericoloso chiamare i giornalisti nemici del popolo”.
Difende il valore e il lavoro della libera stampa anche USA Today, il quotidiano più diffuso negli States. “I nostri giornalisti fanno del lavoro una missione”, è il titolo dell’editoriale di Manny Garcia, che ricorda che il giornalismo di qualità richiede investimenti e che le grandi inchieste richiedono tempo. “Ci sono paure e angosce – osserva – spesso derivanti da attacchi personali da parte di chi cerca di intimidire o di mettere a rischio i nostri mezzi di sussistenza. Se gli attacchi della politica alle notizie pubblicate dai giornali continueranno a guadagnare seguito, rischiamo di perdere la funzione di fedeli cani da guardia delle nostre comunità. Questo sarebbe tragico”.
Anche i giornali locali sono scesi sul piede di guerra. “Spesso, quando i giornalisti non piacciono ai governi, vuol dire che probabilmente stanno facendo bene il loro lavoro”, scrive The Bangor Daily News. E The Hillsboro Tribune: “La notizia non è falsa soltanto perché vedi le cose diversamente”.
Una chiamata collettiva alla mobilitazione per difendere il dovere della stampa di illuminare le zone grigie del potere e della società e il diritto dei cittadini ad essere informati. Un’iniziativa che dovrebbe coinvolgere i giornali e i giornalisti di tutto il mondo. Perché mondiale è l’attacco ai corpi intermedi, globale è il tentativo dei governi di disintermediare e di ridurre la stampa al silenzio o alla marginalità. Un disegno favorito dalla diffusione e dalla capacità di penetrazione dei social media, contro il quale bisogna stimolare la crescita degli anticorpi della democrazia. Un impegno che deve riguardare tutti, giornalisti, editori, cittadini. Anche in Italia, dove gli attacchi all’articolo 21 della Costituzione sono da tempo all’ordine del giorno e i governi provano a mettere in campo misure per indebolire i giornalisti e l’industria dell’informazione. Tentativi più volte denunciati dalla FNSI, che non ha esitato a scendere in piazza insieme con numerose associazioni. Il sindacato dei giornalisti è pronto alla mobilitazione. Questa volta, però, è necessario che anche gli editori battano un colpo, esattamente come negli Stati Uniti. La buona informazione richiede aziende che investono sul lavoro regolare, che rispettino la dignità e il decoro della professione. Un’informazione sempre più precaria – modello prediletto da numerosi editori – è un’informazione debole, poco credibile, più facile da mettere nell’angolo. È una questione di dignità del lavoro, ma anche e soprattutto di democrazia. I media americani insegnano.


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