Trent’anni senza Enzo Ferrari, il mitico Drake di Maranello, l’architetto del Cavallino rampante e dei suoi trionfi, uno di quei personaggi che Enzo Biagi definiva, non a torto, ” italiani da esportazione”, discusso e stimato in tutto il mondo.
Ferrari, corrispondente per la Gazzetta dello Sport, pilota appassionato ma non di grande livello, demiurgo di una favola che va al di là del tempo, capace di valorizzare il talento di piloti straordinari e di mantenere ai massimi livelli un marchio che è molto più di un’azienda, è stato senza dubbio un personaggio poliedrico.
Curioso come pochi, colto, saggio, aspro come tutti coloro che possiedono un carattere notevole e una tempra d’acciaio, l’ingegner Ferrari èstato senza dubbio uno dei grandi protagonisti del Novecento, avendo attraversato quasi un secolo senza mai arrendersi, senza mai cedere alle mode, senza mai deviare dal proprio percorso esistenziale, dalle proprie idee e dalla propria visione della società e dello sport.
Era un uomo, Ferrari, nato sul finire dell’Ottocento ma sempre qualche decennio avanti e, per questo, tuttora attuale, tuttora punto di riferimento per il mondo dell’automobilismo, tuttora rimpianto in un Paese troppo incline a piangersi addosso e assai meno a combattere, a innovare, a compiere una seria autocritica e a sforzarsi di andare al di là dei propri limiti.
In Ferrari spiccavano il coraggio, la determinazione, il desiderio ardente di superare se stesso, diremmo quasi un sogno di immortalità, un entusiasmo bambino per le corse e un amore innato per la velocità. Era, infatti, veloce anche nei pensieri, nelle intuizioni e nel metterle in pratica, come se bruciasse in lui un fuoco sacro, come se non volesse lasciare nulla di intentato e, tanto meno, di incompiuto.
Dovette affrontare anche numerose sconfitte, non pochi momenti difficili, innumerevoli ostacoli e impedimenti ma ne venne sempre fuori con eleganza, senza recriminazioni né la tentazione, pur umana e legittima, di fermarsi.
Del resto, non lo avevano fermato le difficoltà patite negli anni dell’adolescenza, le tante sconfitte rimediate, le delusioni subite e ben due guerre mondiali. Nulla ha mai fermato quest’uomo travolgente e pieno d’iniziativa, questo condottiero burbero, schivo, restio a rilasciare interviste in quanto abituato a parlare con i fatti.
“La mia vita – diceva – è stata un ansimante cammino. Non tornerei indietro. Non mi piace più questo mondo dove la violenza ha preso il posto della ragione. Intravedo uno smisurato penitenziario che ha in noi i suoi reclusi. L’egoismo ci condiziona, allontanandoci spesso dal prossimo, costringendoci a contare sulle nostre sole possibilità”.
No, non poteva piacergli il mondo contemporaneo, così cinico, spietato, privo di dignità, valori e prospettive. Anche per questo, all’età di novant’anni, ci ha detto addio, il 14 agosto 1988, lasciando un vuoto incolmabile nell’universo delle Formula 1 e in un’Italia, che oggi più che mai avrebbe bisogno di figure come la sua. Il punto è che di Ferrari ne nasce uno ogni secolo, forse nemmeno, forse non nascerà più un personaggio come il Drake e allora non ci resta che il rimpianto per un’altra idea di umanità che purtroppo è andata perduta.
P.S. Ricorrono altri tre anniversari di una certa importanza: i sessantacinque anni dalla scomparsa di Tazio Nuvolari e i settanta dalla tragica morte di Achille Varzi e del campione di motociclismo Omobono Tenni. Miti di un passato ormai remoto, eroi di un tempo che ormai si fa persino fatica a credere che sia davvero esistito.
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