Dopo che sabato 11 era stato aggiornato all’8 settembre il processo contro l’attivista egiziana Amal Fathy, arrestata la notte tra il 10 e l’11 maggio, oggi un giudice ha prorogato la sua detenzione nell’ambito di un’altra inchiesta che la riguarda.
Il processo rinviato all’8 settembre ha a che fare con i contenuti e i commenti di un video pubblicato su Facebook.
Nel video Amal aveva denunciato la diffusione delle molestie sessuali in Egitto e aveva criticato l’incapacità del governo di proteggere le donne dalla violenza di genere. Nei 12 minuti della sua durata, non c’era la minima apologia della violenza né istigazione a compiere atti violenti.
Nell’ambito della seconda inchiesta, Amal deve rispondere di accuse gravissime quanto pretestuose: “adesione a un gruppo terrorista”, “diffusione di notizie false e dicerie per danneggiare la sicurezza pubblica e gli interessi nazionali” e “uso di Internet per istigare a compiere atti di terrorismo”.
Le autorità egiziane da tempo usano queste accuse contro le voci critiche e i giornalisti nel tentativo di ridurli al silenzio.
Amal, oltre ad essere un’attivista per i diritti delle donne, è la moglie di Mohamed Lotfy, già ricercatore di Amnesty International e attualmente direttore della Commissione egiziana per i diritti e le libertà, l’organizzazione per i diritti umani che fornisce consulenza legale alla famiglia Regeni e che per questo ha subito intimidazioni e arresti di suoi esponenti.
Secondo Amnesty International, Amal è una prigioniera di coscienza. Le accuse nei suoi confronti sono ridicole e infondate.
I tre mesi di detenzione preventiva e la doppia persecuzione giudiziaria nei suoi confronti rappresentano un ulteriore tentativo di colpire un’attivista ma anche, attraverso di lei, coloro che in Egitto cercano di contribuire al raggiungiment