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Campagne d’odio e troll, opportuna una commissione di inchiesta di Camera e Senato

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Dalla Russia con amore. È il titolo del film, forse il migliore, della saga di James Bond. E dall’ex stato socialista, ora regno del nuovo zar Putin, sembravano – ma senza amore- avere origine i tweet che nella notte tra il 27 e il 28 maggio scorsi chiedevano le dimissioni di Sergio Mattarella, “reo” di non aver accettato la nomina di Paolo Savona al vertice del dicastero dell’economia. Del resto, è da tempo sotto osservazione l’Internet research agency (Ira), con sede a San Pietroburgo, che sposta consensi attraverso la rete con tecniche venute clamorosamente alla luce con la vicenda Facebook-Cambridge Analytica: di cui tanto si è detto. È in corso un’indagine della Procura di Roma con il pool antiterrorismo. Bene. Tuttavia, il direttore dell’intelligence Alessandro Pansa di fronte al Copasir è sembrato escludere un ruolo esplicito della Russia. Ma da là sono arrivate iniezioni di populismo sovranista in diverse circostanze, dall’elezione di Trump, alla Brexit, alle stesse elezioni italiane. Vedremo gli esiti dell’indagine. Saranno pure state centrali nostrane a muovere in pochi minuti migliaia di tweet e a creare falsi profili. Il problema, però, rimane intatto nella sua gravità. E non si attenuerà, vista la prossima scadenza europea. Dove si giocherà una partita strategica. Così come nell’età berlusconiana la dominante assoluta era la televisione commerciale generalista, ora -pur in presenza di un tuttora forte potere del video- sono i social a dirigere l’orchestra del clima di opinione. Non per caso Lega e 5Stelle sono di casa in rete, tanto che non c’è decisione che non sia anticipata con un tweet o un post. Tra l’altro, andrebbe stigmatizzato il pessimo gusto di trattare con un click storie complesse, drammi e tragedie, crisi aziendali e scelte di organigrammi. I fondatori di Internet avevano in mente una democrazia partecipata, non dimezzata o ridotta a mera sloganistica ad effetto. Nel magma dei social viene meno ogni criterio qualitativo. Il rapporto tra vero e falso si snatura e trionfano le fake news. Queste ultime non sono, in simile contesto, una occasionale eccezione. Bensì una vera e propria retorica usuale, frutto anche dell’assurda possibilità di poter navigare in modo anonimo. La professionalità della polizia delle comunicazioni è molto alta e sono numerose le volte in cui vengono smantellate pericolose connessioni criminali. Si è aperta, però, una nuova stagione. Intanto, come ci ammonisce nei suoi scritti sulle fake il giovane filologo Claudio Lagomarsini, dobbiamo attrezzarci a studiare e comprendere i testi. Proprio la filologia ci fornisce strumenti di azione. Attraverso un’opera di alfabetizzazione digitale straordinaria fin dalle scuole elementari come sostiene Milena Gabanelli si può intervenire. Non solo. Dopo tanto parlare della legge sulla ” par condicio”, di cui si chiede a mesi alterni la revisione, ora è venuto davvero il momento di pensarci. La norma fu varata nel febbraio del 2000, quando la rete era ancora nella fase dell’ottimismo innocente. Adesso sì: è proprio il caso di mettere qualche regola in un mondo in cui non è osservato neppure il silenzio elettorale o dove la menzogna fa status. Naturalmente, guai a infilarsi in strade censorie o ad immaginare sovrapponibili le discipline su media differenti. In ogni caso, in vista della prossima campagna elettorale, sarebbe utile proporre presto qualcosa in parlamento, magari su segnalazione da parte dell’autorità per le comunicazioni che ha mostrato interesse sulla materia. E, sul ruolo dei troll stranieri o italiani che siano, sarebbe opportuna una commissione di inchiesta decisa da Camera e Senato.


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