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Atto politico o delitto politico?

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Il 23 agosto una importante corrente della magistratura associata, Area democratica per la giustizia, ha emesso un allarmante comunicato sulla vicenda della nave Diciotti, fra l’altro osservando che: “Il trattenimento di 177 persone a bordo di una nave, peraltro senza che sia dato sapere in base a quale ordine formale, da chi impartito e con quale competenza, potrebbe integrare una indebita privazione della libertà personale,  atteso che essa per esigenze di controllo dell’immigrazione irregolare può avvenire solo in forza di provvedimenti assunti  «caso per caso», sotto il controllo dell’autorità giudiziaria (entro 96 ore al massimo; art. 13 Cost.; art. 14 D.lgs. n. 286/1998) e garantendo ai migranti l’accesso alle informazioni sulle procedure necessarie a richiedere l’asilo o altre misure di protezione”.

Questo comunicato ha fatto cadere l’ultimo velo che nascondeva l’oscenità di una procedura di trattenimento extralegale, che i principali attori politici rivendicavano come normale esercizio dei poteri di governo. In realtà nella vicenda è stata esplorata la possibilità di creare una zona franca dal diritto, una specie di Guantanamo italiana, nella quale nei confronti di alcune categorie di persone è sospesa la Costituzione, non valgono le Convenzioni internazionali e non si applica neppure la disciplina giuridica dell’immigrazione vigente nel resto del paese. Il re è nudo, aveva gridato lo scrittore Saviano, parlando esplicitamente per primo di sequestro di persona.

E sequestro di persona, arresto illegale ed abuso d’ufficio sono le imputazioni che il Procuratore della Repubblica di Agrigento ha ipotizzato a carico del Ministro dell’Interno, trasmettendo gli atti al Tribunale dei Ministri di Palermo perché proceda alle indagini preliminari. A norma dell’art. 8 della Legge cost. n. 1, 1989, il Tribunale, se non ritiene che si debba disporre l’archiviazione, trasmette gli atti con relazione motivata al procuratore della Repubblica per la loro immediata rimessione al Presidente della Camera competente.

In questo caso la Camera competente (il Senato) può, a maggioranza assoluta dei suoi componenti, – a norma dell’art. 9 – negare l’autorizzazione a procedere, ove reputi, con valutazione insindacabile, che l’inquisito “abbia agito per la tutela di un interesse dello Stato costituzionalmente rilevante ovvero per il perseguimento di un preminente interesse pubblico nell’esercizio della funzione di Governo”.

Se questo è il contesto normativo, è facile comprendere la tracotanza di Salvini che, come Berlusconi, aggredisce mediaticamente i magistrati che lo inquisiscono, ma, a differenza di Berlusconi, può offrire il petto al plotone dei giudici, dichiarando di rinunciare all’immunità parlamentare. In realtà, qualora il Tribunale dei Ministri non disponga l’archiviazione, per procedere oltre sarebbe necessario un voto del Senato, per il quale è scontato l’esito. Se nella XVI legislatura Camera e Senato per salvare Berlusconi hanno sollevato conflitto con la magistratura, sostenendo che Ruby era la nipote di Mubarak, ci sono pochi dubbi che il Senato non riconosca un preminente interesse pubblico nell’eroica resistenza del Ministro allo sbarco dei migranti recuperati in mare dalla nostra Guardia costiera.

In una recente intervista televisiva, il Ministro Giulia Bongiorno, interpellata sulla liceità della condotta del suo collega di Governo, ha dichiarato: “se c’è una limitazione della libertà che in astratto può sembrare un sequestro, se viene posta in essere per adempiere un dovere, è come si scriminasse il reato”.

L’avvocato Buongiorno, in sostanza, ha riconosciuto che vi è stato sequestro di persona, ma lo ha subito depenalizzato richiamando la causa di non punibilità dell’adempimento di un dovere.

Senonchè i doveri giuridici derivano dalla legge: nel nostro caso il “dovere” che ha orientato la condotta del Ministro non deriva da alcuna legge, al contrario è frutto di una volontà politica che, per essere attuata, ha dovuto calpestare obblighi giuridici vincolanti, derivanti dal diritto interno e dal diritto internazionale.  In realtà, quella che la Buongiorno ha sollevato è la teoria dell’atto politico. Gli atti emessi dagli organi costituzionali nell’esercizio delle loro attribuzioni tipiche -di norma- non possono dar luogo a responsabilità.

Negli sistemi politici autoritari lo spazio di azione dell’atto politico è massimo (a quale giudice sarebbe venuto in mente di incriminare Mussolini?), nello Stato costituzionale di diritto, quale rimane ancora il nostro Paese, l’ambito dell’atto politico è minimo e – di norma – non può coprire gli abusi di carattere penale, salvo che la Camera interessata non blocchi l’azione penale, assumendosene la responsabilità politica dinanzi al corpo elettorale.  Il Ministro dell’Interno non può arrestare nessuno, perché la Costituzione non gli conferisce questo potere, né può sospendere, con atto politico, l’applicazione delle garanzie della libertà individuale previste dall’art. 13 della Costituzione, né può ostacolare il salvataggio dei naufraghi in mare.

In questo caso non di atto politico si tratta ma di delitto politico!


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