BASTA VIOLENZA SULLE DONNE - 25 NOVEMBRE TUTTI I GIORNI

Ancora minacce contro la giornalista Marilena Natale

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Da circa due anni è sotto scorta, Marilena Natale da tempo racconta un territorio, quello dell’agro aversano nella provincia di Caserta, che per decenni è stato ostaggio del clan dei Casalesi e del malaffare che ha inquinato terreni, politica ed economia. Le istituzioni preposte le hanno riconosciuto la scorta in virtù della sua attività pubblicistica e delle denunce che le sono costate minacce di morte.
Di minacce Marilena ne ha ricevute in più occasioni, in genere per articoli pubblicati da testate giornalistiche, dirette video sui social, opinioni, contestazioni e denunce pubbliche contenenti nomi e cognomi, invece, le ultime minacce che risalgono a fine luglio, sembrano essere legate a una notizia che Marilena non ha scritto e di cui secondo un portale di informazione, e secondo la figlia del boss Luigi Venosa, sarebbe la fonte. “Ormai, io per loro sono il capro espiatorio, la ficcanaso che non si piega e quindi va punita – dice Marilena Natale – ma quello che scrivo io lo scrivono anche altri. Loro vorrebbero vedermi isolata, in questo la “scorta mediatica” è persino più importante dei due carabinieri che mi hanno assegnato, perché l’isolamento nel mio caso equivale a uccidermi. Per questo apprezzo e ringrazio sempre il sindacato regionale dei giornalisti (Sugc ndr), in particolare il presidente della Fnsi, Giulietti, per l’affetto e la vicinanza”.
Certo è che a leggere i messaggi in questione e anche altre critiche postate in gruppi chiusi o su bacheche facebook pubbliche, il tenore del linguaggio manifesta una particolare rabbia nei confronti di Marilena: Arianna Nicola Cantiello (nikname utilizzato per facebook) è una delle figlie del boss Luigi Venosa, in un post insulta la cronista citandola e precisa che “ha fatto uscire l’articolo su mio padre dicendo che è in fin di vita. Ti auguro tutto il male di questo mondo per tutte le baggianate che sai scrivere…”. Il messaggio è seguito da alcune reazioni di altre donne, tra cui quello di “Terry Meg Venosa” che va ben otre gli insulti e gli anatemi: “Il leone è ferito ma non è morto – scrive – se ti vedo ti devo tirare il cuore da petto senza pietà”.
Questo “è l’unico gergo che può usare la figlia di un camorrista. Mi dispiace per lei, perché solo questo le hanno insegnato – afferma Marilena Natale – ma io continuerò a fare quello che ho sempre fatto e a denunciare. Questo, peraltro, è un momento molto delicato per la mia terra. Il pentimento di Nicola Schiavone, ha messo in agitazione il clan”. E, infatti, questo attacco avviene un momento che mette a dura prova gli equilibri interni al clan, fortemente scossi dalla notizia del pentimento del figlio di uno dei capi storici dei casalesi, noto come Sandokan, Francesco Schiavone.
Dal sindacato dei giornalisti è stato inoltrato un aggiornamento sul caso di Marilena Natale sia al Ministero dell’Interno che alla procura della repubblica di Napoli. Il procuratore capo Giovanni Melillo ha deciso di occuparsi della vicenda personalmente. Un atto conseguenziale alla volontà espressa in più occasioni da parte del capo della procura partenopea, che ben conosce le dinamiche del territorio campano e che ha più volte sottolineato quanto sia diventato grande e serio il problema dei giornalisti minacciati e aggrediti per il loro lavoro.
In effetti, grazie all’eco creata dalla scorta mediatica in Italia, oggi si ha una maggiore consapevolezza e capacità di analisi del problema. Tra le altre cose, è diventato evidente che con i nuovi canali di informazione online è aumentato sia il flusso di notizie locali trattate dai giornalisti sia il numero degli episodi di minacce e attacco all’informazione professionale. Un fenomeno sempre più articolato che colpisce non solo e non tanto i giornalisti più noti. In gran parte si tratta di giornalisti che non godono di tutele contrattuali e di una redazione pronta a fare scudo; capaci di offrire ai cittadini elementi di conoscenza più di altre testate note ma meno radicate sul territorio e che soprattutto usano i social network per divulgare le notizie in modo più veloce e immediato. Chi racconta e pubblica articoli rilanciandoli dai siti di informazione online sulla propria bacheca e in gruppi che fanno riferimento al territorio di cui si scrive, diventa popolare, raccoglie consensi, matura un seguito che ha come contraltare la reazione di chi ha tutto l’interesse a mantenere il silenzio e l’assenza di conoscenza dei fatti. Le minacce, gli insulti, e le aggressioni sono opera, a volte, di più persone che agiscono in contemporanea e con un tempismo tipico della premeditazione. Un modus operandi organizzato che può durare giusto il tempo di far arrivare il messaggio e un attimo dopo è tutto cancellato. Regola numero 1: non lasciare traccia… Ma non sempre funziona.


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