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Afghanistan, crowdfunding per illuminare una periferia dimenticata e in guerra

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Dopo quaranta giorni dopo, decine e decine di email, centinaia di messaggi scambiati su ogni piattaforma, dozzine di telefonate e il più tradizionale “contatto personale” (una volta l’avremmo chiamato “porta a porta”) la campagna di “crowdfunding” per la seconda parte di “Afghanistan Missione Incompiuta” si è conclusa con un successo: 627 le copie prenotate, obiettivo raggiunto e superato (125%).

Il crowdfunding è una campagna di prevendita, i partecipanti pagano in anticipo qualcosa che otterranno nei mesi a venire. E’ un modello nato negli Stati Uniti e che è diventato popolarissimo per i progetti tecnologici (quelle invenzioni sulle quali la grande industria non punta) ma ormai diffusosi anche alla cultura e ad un giornalismo sempre più privo di risorse.
Questo appena conclusosi è il mio secondo crowdfunding, il primo è del 2015 ed ha portato alla pubblicazione di “Afghanistan Missione Incompiuta 2001-2015”, un libro che racconta dell’Afghanistan e della sua storia fatta di guerre ma anche di una straordinaria unione tra culture, di una grande prosperità in tempo di pace.
Un libro che ha ricostruito la più lunga guerra dell’Occidente, il conflitto condotto durante la missione Isaf ed Enduring Freedom, tirandone le somme e descrivendone gli effetti. Il tutto senza ideologie, tesi pre-costituite, teoremi ma facendo parlare i fatti e dando voce a chi voce non ne ha – in primo luogo il popolo afghano, le vittime civili.

Il crowdfunding appena conclusosi serve a finanziare la seconda parte di quel libro che si fermava al 2015, dopo il ritiro occidentale la guerra in Afghanistan non solo è continuata ma è persino peggiorata: il numero delle vittime civili è a record storici; la produzione dell’oppio è talmente aumentata che potrebbe soddisfare il doppio dell’attuale domanda mondiale; l’instabilità politica assieme all’azione della guerriglia spinge il Paese verso la frantumazione.
Intanto sull’Afghanistan è calato l’oblio mediatico, non se ne parla più un po’ come accadde con l’Iraq dopo il ritiro americano. Si tornò a parlare di quel Paese quando colonne di pick up con la bandiera nera presero Mosul, la seconda città irachena e il mondo scoprì l’Isis.

Il modo migliore per aggravare una crisi è ignorarla; girarsi dall’altra parte significa essere presi alla sprovvista quando gli effetti di quella crisi – in un mondo globalizzato non solo per lo scambio delle merci – vengono a bussare alle nostre porte.
E’ per questo che considero il crowdfunding per “Missione Incompiuta – Parte Seconda” non un successo personale, ma una vittoria per l’informazione che vuole illuminare le periferie. Un segnale politico (in senso alto) all’editoria e a chi la gestisce: centinaia di persone che si mettono insieme – in tempo di crisi – per finanziare un reportage e il libro che ne nascerà; persone che chiedono ad alta voce di essere informate su quanto accade nei luoghi remoti della Terra; persone che rifiutano l’esistenza stessa della categoria “crisi dimenticate”; persone tra le più diverse, soldati e pacifisti, curiosi ed esperti a riprova che l’informazione “fattuale” interessa a tutti.
Per questo nel ringraziare i miei crowdfunder uso un’immagine a me cara: un banco di pesciolini che si uniscono fino a spaventare il pesce grande, quello che fino a poco prima faceva loro paura. E’ il simbolo di un movimento che nella Grecia in crisi ha bloccato centinaia di aste delle banche per la vendita di case con mutui non pagati.
La riprova che tutti insieme possiamo ottenere dei risultati, un principio che vale anche per il giornalismo e per chi considera l’informazione come un bene primario e in quanto tale, comune.


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