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28 agosto. Dal sogno di Martin Luther King al progetto di Matteo Salvini e Viktor Orban

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C’è tutto il senso della storia contemporanea nella data odierna. Il 28 agosto di cinquantacinque anni fa Martin Luther King cambiava la storia americana dicendo di avere un sogno. Il 28 agosto di quest’anno Matteo Salvini e Viktor Orban si incontrano a Milano per annunciare all’Europa il loro progetto. C’è in questo drammatico accavallamento di eventi del passato e del presente tutto il significato prioritario, cruciale, decisivo: vivere insieme. Martin Luther King lo disse con parole che hanno segnato la storia di questi cinquant’anni: o impareremo a vivere insieme come fratelli e sorelle o periremo insieme come degli stolti. Le parole con cui concluse quel suo storico discorso furono queste: “Quando lasciamo risuonare la libertà acceleriamo anche quel giorno in cui tutti i figli di Dio, neri e bianchi, ebrei e gentili, cattolici e protestanti sapranno unire le mani e cantare con le parole del vecchio spiritual: liberi finalmente: grazie a Dio onnipotente siamo liberi finalmente”.

Questa gioia di libertà la devono aver provata anche i profughi della Diciotti, quando finalmente sono scesi a terra. Ma è basato su questa libertà il progetto di Orban? Il suonsogno   lo ha annunciato lui stesso nel discorso pronunciato a Tusnádfürdő  il 28 luglio 2018, Orban ha introdotto la democrazia cristiana illiberale come modello cui tendere per superare la democrazia liberale. Per illustrare il concetto, si è soffermato inizialmente sulle caratteristiche cristiane della sua idea di democrazia: “Democrazia cristiana non significa difendere i canoni della fede – in questo caso quelli della fede cristiana. Né gli Stati né i governi hanno competenza sulle questioni relative alla dannazione o alla salvezza.[…]  Il nostro dovere non è difendere i canoni, ma le caratteristiche della vita, per come si sono da essi originate. Queste includono la dignità umana, la famiglia e la nazione, perché il cristianesimo non cerca di raggiungere l’universalità attraverso l’abolizione delle nazioni, ma per mezzo della conservazione delle nazioni.”

Nella mente di Orban, illiberale è prima di tutto un processo di affrancamento dai pilastri ideologici del liberalismo. Nel suo discorso ha fatto due esempi specifici: “La democrazia liberale è pro-immigrazione, mentre quella cristiana è contro. Questo è un concetto genuinamente illiberale. La democrazia liberale sostiene modelli adattabili di famiglia, mentre quella cristiana poggia sulle fondamenta del modello cristiano di famiglia. Ancora una volta, questo è un concetto illiberale.” Purtroppo per Orban ogni paese europeo ha avuto un cattolicesimo liberale. Per quanto riguarda l’Italia basterà ricordare Antonio Rosmini, sia per i consigli dati alla curia, sia per alcuni suoi scritti e specialmente Le cinque piaghe della Chiesa del 1848, Alessandro Manzoni, (che vagheggiò un cattolicesimo aperto alle esigenze del liberalismo politico, Raffaello Lambruschini, che più di tutti tentò di conciliare in una nuova sintesi cattolicesimo e libertà, non senza aspirazioni di profonda riforma della Chiesa, Niccolò Tommaseo, profondamente cattolico, eppure severo verso l’arretratezza della curia.

La visione di Orban è dunque incompatibile con la radice del cattolicesimo che conosciamo dal Concilio Vaticano II. E i riferimenti del neo-cattolicesimo identitarista, invocato da tutte le forze che si definiscono populiste, portano chiaramente a Orban. Ha scritto molto opportunamente Matteo Tacconi su Reset: “ Orban sembra avere le idee chiare. Per lui, la campagna per il voto di maggio dovrà essere focalizzata su un unico aspetto: l’immigrazione.  E qui torna la tesi, brandita da Orban in modo martellante, ossessivo, secondo cui Soros, il miliardario americano, di natali ungheresi e origine ebraiche, avrebbe intenzione di importare dosi massicce di immigrati nel vecchio continente e di rottamare le frontiere per far nascere un grottesco e pericoloso meticciato. È la narrazione con cui Orban si rivolge alla sua base, traendone consenso.”

La religione dunque diventa decisiva. L’amore per il vivere insieme di Martin Luther King si basa su quella che considerava la carta d’identità del suo cristianesimo: dar da bere agli affamati, da mangiare agli affamati, da vestire agli ignudi, accoglienza ai forestieri. Ma chi non concorda con lui? Qui ci aiuta in modo decisivo il padre del liberalismo soprattutto economico, Friedrich Von Hayek che distingue nettamente liberalismo, anche economico, e conservatorismo. Per questo economista austriaco, premio Nobel per l’economia del 1974, i conservatori diventano reazionari perché si oppongono al cambiamento senza badare al fatto se sia positivo o negativo, hanno paura del progresso e del nuovo, mentre il liberalismo si basa sulla fiducia. Per questo Von Hayek asseriva che il conservatorismo porta alla spirito reazionario, avvertendo il fascino dell’autorità, essendo incline a servirsi del potere pur di impedire ogni cambiamento. Questo conservatore divenuto reazionario invoca il protezionismo contro l’internazionalismo, ma spesso gli manca  una conoscenza basilare del modo in cui la crescita economica è legata al bisogno di libertà e “alle forze spontanee su cui una politica di libertà fa assegnamento.”

La sua conclusione fa impressione riletta oggi: il conservatore divenuto reazionario è senza scrupoli, perché non ha una filosofia politica. Non è questa l’impalcatura che sottosta alla democrazia cristiana illiberale di Orban? La sua visione però per affermarsi ha bisogno di smantellare la Chiesa universale e sostituirla con Chiese patriottiche, identitarie, nazionaliste, fedeli ai Presidenti, o ai Raìss, e non al papa. E’ questa la partita politica, culturale ed ecclesiale che aveva annunciato Martin Luther King nel nome dell’universalità e del vivere insieme e che oggi viene combattuta dai nostalgici del costantinismo nella Chiesa e dai fautori della democrazia cristiana illiberale nell’agone politico. Che in questa contesto tornino in Vaticano i corvi non può certo sorprendere, come non sorprende che venga difesa addirittura la teologia della prosperità, illustrata in un saggio demolitorio da padre Antonio Spadaro e Marcelo Figueroa, che la presenta come l’architrave di un vangelo tutto nuovo, nel quale povertà e malattia sono prove del non amore di Dio. Che questa teologia sia apprezzata da Donald Trump e ora da alcuni suoi cantori anche in Italia conferma la centralità della visione profetica di Jorge Mario Bergoglio: Chiesa in uscita, Chiesa dalle porte aperte, Chiesa ospedale da campo, Chiesa della misericordia. E’ l’unica proposta alternativa, rispettosa delle diversità, che si vede alla democrazia cristiana illiberale di Orban, assai simile alla a quelle democrazie che in altri contesti vogliono imporre agli Stati leggi e codici religiosi.


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