di Agnese Salemi
A Corleone, a casa nostra, molti ragazzi, finito il liceo, decidono che è arrivato per loro il momento di andar via. La prima emozione che si prova è sempre l’euforia, hai finalmente l’occasione di allontanarti da un posto che hai spesso sentito troppo stretto, da quelle persone chiacchierone di paese che sanno sempre tutto di tutti.
Ma quando si avvicina il giorno della partenza sale la paura, metti in dubbio le scelte che hai fatto e te stesso, non sapendo se reggerai la distanza, che ti spaventa non tanto per l’affetto che ti lega al paese, quanto per la rottura con la tua solita quotidianità. In fondo stai uscendo dalla tua comfort zone e rimanere in piedi, stabile, soprattutto all’inizio, è la vera sfida.
Andrea Camilleri distingue i siciliani in due categorie, quelli di scoglio e quelli di mare aperto, dice che solo quando ci si allontana dalla Sicilia si capisce davvero di che tipo sia la nostra “sicilianitudine”, se facciamo parte di quelli che dopo tre giorni hanno l’esigenza, quasi fisica, di tornare a casa, o se invece riusciamo a fare del nostro essere siciliani una ricchezza personale, da mostrare a tutti e di cui andare fieri.
Ho sempre trovato curiosa questa definizione, forse perché credevo fossi io a dover scegliere che tipo di siciliana essere, e solo con il tempo ho capito che questo è qualcosa che ognuno di noi ha dentro da sempre, ma che serve allontanarsi per scoprirlo.
La Sicilia è ricca di ogni bellezza eppure, quando vivevo lì, ai miei occhi risultava bloccata, stantia, rispetto agli altri posti che visitavo, in cui vedevo sempre qualcosa di più. Nella mia scelta di studiare lingue e culture orientali a Napoli non c’era spazio per la mia Sicilia. Volevo andare via, per poi spostarmi ovunque, senza tornare indietro. Non guardarmi alle spalle verso quel paese che nel corso degli anni mi aveva mortificato e fatto arrabbiare.
Ho sempre odiato dover dare spiegazioni per il fatto che venissi da Corleone, e agli occhi degli altri può sembrare esagerato, ma provavo vergogna a presentarmi a persone fuori dal mio paese. La domanda è sempre la stessa: “Ma sei mafiosa anche tu?”, e mi trovo così a dovermi difendere dall’accusa, gratuita, di essere mafiosa. No, non lo sono, e non lo è nemmeno tantissima gente al mio paese, a Corleone, perché seppure è vero che “tutti i mafiosi sono siciliani, non tutti i siciliani sono mafiosi”.
La gente di fronte ad una corleonese ha due differenti reazioni: chi si eccita all’idea del sangue e del “potere” che rappresenti e chi invece ti guarda e si domanda come sarà viverci, senza allusioni negative. All’inizio della mia esperienza fuori casa rispondevo a tutti in modo conciso ma denso di significato: i primi però facevano solo finta di ascoltare, continuando imperterriti con le loro battutine e mostrando tutta la loro saccenza; i secondi invece mostravano un reale interesse nel voler capire la mia prospettiva.
Così anch’io ho iniziato a vedere in modo diverso la mia terra, il mio paese, le mie responsabilità nei suoi confronti, e tutto ha iniziato a mancarmi profondamente. Avevo voglia di fare parte di qualche progetto che potesse ridare dignità ad un posto ormai sempre e solo martoriato, e così sono entrata a fare parte del CIDMA, il Centro Internazionale di Documentazione sulla Mafia e l’Antimafia, un’esperienza che mi sta facendo crescere tanto.
Non riuscivo a credere che tutta quella gente venisse a Corleone ed entrasse in un posto che, fino a qualche anno fa, restava sconosciuto agli stessi corleonesi. Il CIDMA mi ha dato una nuova prospettiva sul futuro e sui miei progetti e sopra ogni cosa mi ha fatto venire una gran voglia di tornare a casa. “Un paese ci vuole, non fosse che per il gusto di andarsene via. Un paese vuol dire non essere soli, sapere che nella gente, nelle piante, nella terra c’è qualcosa di tuo, che anche quando non ci sei resta ad aspettarti”. (Cesare Pavese)
Basta poco per cambiare completamente il tuo modo di vedere le cose, dare a tutto un nuovo significato. Ho cambiato la mia idea di radici: avevo immaginato le mie piccole e sottili, e avevo immaginato che si sarebbero rafforzate man mano mi fossi allontanata. Adesso le immagino lunghissime ed elastiche, mi seguono ovunque io vada, come se portassi addosso sempre un po’ di Sicilia, e con la sensazione che sto davvero bene solo quando torno da lei.
Andare fuori sede non è per tutti, devi avere un cuore grande. Grande a sufficienza per far da valigia a tutto ciò che lasci. Questo cuore raccoglierà tantissime emozioni, in posti che pensi non ti appartengano, ma che alla fine prendono un po’ la tua forma, in cui inizi a stare comoda. Sai che dovrai lasciarli e inizi a provare un continuo sentirti incompleto ovunque, perché nel frattempo hai lasciato pezzi di te un po’qua e un po là. Ti abitui anche a questo: a piangere quando devi lasciare casa, e a piangere quando devi tornarci.
Evadi per un po’, ti ricomponi, conosci e apprendi altrove tutto quello che da te non funziona, ma poi torni, con le valigie piene di esperienze e di ricordi, perché andare via ad imparare acquista più valore quando poi decidi di tornare e cambiare quello che “giù” non ti sta bene.