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Un’Africa che non ti aspetti

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È un’Africa che non ti aspetti, che la maggior parte delle persone non conosce, quella raccontata sabato 30 giugno a Udine da Marco Trovato, direttore della rivista “Africa”, da Raffaele Masto, giornalista di Radio Popolare, e da Sebastian Ruiz, de “El Pais”, nell’ambito dell’iniziativa “Parliamo di casa loro: Africa senza stereotipi” promossa dall’associazione Time for Africa in collaborazione con il Forum Regionale delle Diaspore, FriuliSera, l’Assostampa e Articolo 21 Fvg.

Un continente da cui, come sosteneva Plinio il Vecchio e come riportato nella gerenza di “Africa”, «c’è sempre qualcosa di nuovo».

Nuova è la gente che la abita: l’età media è di 17 anni (in Italia di 45).

Nuove le idee che nascono per rispondere ai tanti deficit che ancora permangono: quello infrastrutturale (solo il 19% delle strade è asfaltato), quello energetico (solo 1 abitante su 3 può accendere un interruttore), quello occupazionale (ogni anno sono disponibili 3 milioni di nuovi posti di lavoro, ma ne servirebbero 12 milioni), quello democratico (molti Paesi hanno inserito nelle loro Costituzioni il limite dei due mandati, ma poi hanno modificato questa previsione o l’hanno semplicemente disattesa, per consentire ad alcune famiglie di continuare a spartirsi il potere).

Nuova la fiducia nel domani nonostante gli oltraggi e i furti della Storia, che non sono cessati e hanno autori e attori nuovi. Nonostante 250 milioni di persone vivano in baraccopoli. Nonostante sia il continente più colpito dall’Aids (19,4 milioni di contagiati, più del 50% dei contagiati infetti in tutto il mondo, nella parte sud-orientale). Nonostante il dilagare della corruzione. Nonostante sia il teatro del maggior numero dei conflitti in corso.

Nonostante tutto ci sono aspiranti ingegneri, come William Kamkwamba, che non possono permettersi di studiare ma riescono ugualmente a imbrigliare la forza del vento e a trasformarla in luce, acqua e vita per il proprio villaggio. Ci sono artisti che producono musica, film, letteratura originali e convincenti. Ci sono talenti che si mettono a disposizione per regalare prospettive ai più poveri. Ci sono Paesi come l’Uganda che accolgono un milione e mezzo di profughi senza clamori e nel rispetto della loro dignità. Ci sono giovani che la sera a Brazzaville, capitale della Repubblica del Congo, si riversano sul viale principale della città per sfruttare la luce dei lampioni e poter studiare.

Un’immagine diversa dell’Africa che spetta a noi giornalisti restituire, rompendo — come invitava a fare un anno fa padre Alex Zanotelli attraverso un accorato appello — il silenzio su questo continente. Perché l’informazione è la prima forma di solidarietà, non si stanca di ripetere Giulio Albanese, direttore di “Popoli e Missione”. Informazione come strumento di conoscenza per accorciare le distanze che dividono chi accoglie da chi fugge in cerca di un futuro diverso, ma anche per sapere che i nostri telefoni cellulari e i nostri computer non potrebbero funzionare senza le preziose materie prime estratte in Africa a spese di chi ci vive, lavora e muore. Ma nondimeno come strumento e occasione per non privarci di tanta bellezza e tanta speranza, risorse che dalle nostre parti sono ancora più introvabili del coltan.


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