Un clima da caccia alle streghe, cioè da caccia al nero, e una pericolosa falla nel controllo dell’ordine pubblico sul territorio: questo sono diventati adesso i ripetuti atti di lesione in danno di emigrati, stranieri, diversi per il colore della loro pelle. Sette storie, tutte uguali, in poco più di un mese sono troppe per non avere paura e abbastanza per parlare di pericolosa deriva. Infatti da ieri nessuno ormai nega più. Chi e cosa abbiano scatenato un tale clima di odio lo si vedrà, ma intanto esiste un problema di controllo dell’ordine pubblico a difesa dell’incolumità di tutti i cittadini e tale controllo spetta alle forze di polizia, per esse al Ministero dell’Interno, cui la situazione è evidentemente sfuggita di mano se chiunque può mettersi tranquillamente alla finestra e sparare come fossimo a Bogotà. L’elenco dei casi di spari verso i migranti dice tutto da solo. Il primo episodio da allarme accade l’undici giugno scorso in una città per niente semplice e già preda della camorra, Caserta: verso le 22 Daby e Sekou, due ragazzi del Mali ospiti di una struttura Sprar vengono raggiunti da molti colpi di pistola partiti da una panda nera; le vittime racconteranno più tardi alla polizia che chi ha sparato inneggiava alle politiche di Salvini. Dieci giorni dopo, il 20 giugno, lo chef Konate Bouyagui, maliano di 22 anni, da quattro in Italia con regolare permesso di soggiorno, mentre torna a casa viene colpito alla pancia da un piombino. Il 2 luglio a Forlì si replica: una giovane donna nigeriana viene ferita a un piede.Il 5 luglio sempre a Forlì un ivoriano di 33 anni in bicicletta vene affiancato da un auto e colpito con una pistola ad aria compressa, riporterà lesioni alla pancia. Passano sei giorni, l’undici luglio due nigeriani che aspettano il bus a Latina vengono colpiti da numerosi piombini sparati da un’auto con a bordo tre giovani, che in seguito saranno identificati e denunciati per lesioni con aggravante della motivazione razziale. Dopo una settimana, il 17 luglio, a Roma un ex dipendente del Senato, alle due del pomeriggio “per provare l’arma” spara dal suo terrazzo al settimo piano di una palazzina in zona Cinecittà e ferisce gravemente una bimba rom di appena 13 mesi. E ancora: il 26 luglio un operaio di origine capoverdiana, dipendente di una ditta di impianti elettrici, è al lavoro su una pedana mobile a 7 metri di altezza quando sente un dolore alla schiena. Era stato colpito da un uomo che aveva sparato dal terrazzo e quando verrà identificato dirà che voleva sparare a un piccione.
Al di là delle risibili, quanto legittime, versioni messe in campo dalle difese degli indagati per questi gravi fatti, c’è un elemento non eludibile e riguarda la sicurezza dei cittadini. A parte il clima pesantissimo e palesemente razzista, chi tutela l’incolumità delle persone che portano i figli a giocare al parco, quelli che vanno in bici o ad attendere il bus? E gli operai che lavorano? Anche la guerra di camorra faceva vittime a caso a Napoli, esseri umani che avevano la sfortuna di trovarsi al momento sbagliato nella traiettoria di proiettili non diretti a loro. I responsabili dell’ordine pubblico nazionale hanno rafforzato le misure di sicurezza. Ecco, almeno questo ora si ha il diritto di chiedere, vivere, camminare, lavorare in un Paese controllato dalla forza pubblica. E chi deve assicurare la sicurezza pensasse a come farlo, invece che stare sui social. Perché chiunque di noi potrebbe d’ora in poi essere scambiato per un piccione.
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