Camilleri argomenta sul consenso al fascismo, e per il segretario leghista è un insulto. Intanto nel Pd dibattito surreale sul congresso
Di Pino Salerno
Parte la fase due della ‘chiusura dei mari’ messa in atto dal ministro dell’Interno, Matteo Salvini. Archiviata la partita della lotta contro le Ong, il secondo tempo del sovranismo si applicherà alle imbarcazioni delle missioni internazionali. Il casus belli è stato lo sbarco di Messina: al porto sono arrivate 106 persone a bordo di una nave della marina militare irlandese. Il via libera ha destato le critiche di chi metteva in evidenza un sistema di gestione degli sbarchi diverso a seconda che la nave sia di una Ong o militare. Ad arrivo avvenuto, il capo del Viminale ha tuonato: “Giovedì porterò al tavolo europeo di Innsbruck la richiesta italiana di bloccare l’arrivo nei porti italiani delle navi delle missioni internazionali attualmente presenti nel Mediterraneo”. Il vertice a cui Salvini si riferisce è quello che si terrà nella città austriaca alla presenza dei ministri dell’Interno dei paesi dell’Unione, primo summit nell’ambito della presidenza di Vienna dell’Ue scattata il primo luglio. Sarà a quel tavolo che il ministro oltre a chiedere, come già spesse volte annunciato, aiuto più per le frontiere esterne che interne, cercherà di mettere in discussione gli accordi dell’operazione Sophia che “va certamente modificata”. In serata giunge dal Ministero della Difesa la doccia fredda sulle affermazioni di Salvini: “Eunavformed è una missione europea ai livelli Esteri e Difesa, non Interni. Quel che vanno cambiate sono le regole di ingaggio della missione e occorre farlo nelle sedi competenti, non a Innsbruck”, dove si svolgerà il vertice dei ministri dell’Interno Ue. Così fonti della Difesa interpellate sulle parole del ministro Salvini a proposito dello sbarco di 106 migranti soccorsi da un pattugliatore della missione Eunavformed.
Il vertice dei ministri europei dell’Interno giovedì a Innsbruck. Salvini vorrebbe fare anche là il protagonista. Glielo permetteranno?
Di “folle accordo” parla anche il ministro dei Trasporti, Danilo Toninelli. Si tratta in realtà di un’operazione decisa in sede di Unione Europea, a guida italiana, rinnovata nel luglio dello scorso anno che ha come compito principale la lotta al traffico e alla tratta degli esseri umani. Ma Salvini non ci sta, considera quegli accordi una “stortura” del sistema di soccorso nel Mediterraneo e vuole dargli una spallata. Forte dei sondaggi che lo danno costantemente in salita anche grazie alle sue politiche del ‘#primagliitaliani’, il capo del Viminale si presenterà dunque a Innsbruck non solo per ascoltare i colleghi di Germania e Austria che cercheranno di convincere l’Italia a riprendersi i migranti che varcano i confini, ma soprattutto per aumentare l’altezza di quel muro simbolico che vorrebbe erigere tra l’Italia e l’Africa. Per discutere di queste questioni e di come impostare la strategia, domani Salvini incontrerà il premier Giuseppe Conte. Prima andrà al Quirinale a “raccontare le cose fatte nel primo mese da ministro”. Al Colle dovrà cercare i toni e i temi giusti per farsi ascoltare, fuori dalla retorica roboante dei social.
Camilleri analizza il consenso al fascismo e costruisce un’analogia col presente. Per Salvini sono insulti
“Eccolo! I suoi libri mi piacciono parecchio, i suoi insulti non tanto”: Matteo Salvini non perde l’occasione per rispondere su twitter a distanza allo scrittore Andrea Camilleri che in un’intervista pubblicata oggi su Repubblica, ha detto che le posizioni di Salvini gli ricordano gli anni del fascismo, e che quelle di Salvini contro Saviano sono “parole mafiose”. “Intorno alle posizioni estremiste di Salvini – ha detto Camilleri – avverto lo stesso consenso che a dodici anni, nel 1937, sentivo intorno a Mussolini. Ed è un brutto consenso perché fa venire alla luce il lato peggiore degli italiani, quello che abbiamo sempre nascosto”. Ora, è evidente che quella di Camilleri è un’analisi della conduzione del ministero dell’Interno in era Salvini, non un insulto. E se in quest’analisi Camilleri non può far altro che rammentare il 1937, perché lui c’era ed è stato testimone diretto del consenso di massa al fascismo, il ministro dell’Interno, che evidentemente conosce poco la storia d’Italia, non può pensare che quelli di Camilleri siano argomenti da bar padano, e dunque insulti. Fior di storici da Renzo De Felice a Claudio Pavone (e come non ricordare qui il libro che Hannah Arendt dedicò a Eichmann, la Banalità del male?) hanno descritto le strategie dell’epoca che il fascismo utilizzò per ottenere il consenso di massa, a partire, ad esempio, dalla riforma Gentile della scuola pubblica. E Camilleri si limita a rammentare all’opinione pubblica italiana che il consenso in sé non rende più democratico ciò che democratico pare proprio non essere. Salvini risponda su questo a Camilleri, invece di nascondersi dietro insulti inesistenti.
Mentre in Italia la democrazia è a rischio, nel Pd si discute d’altro, ma non delle sconfitte. Renzi e renziani contro tutti
E così, mentre è in gioco la qualità della democrazia italiana, per effetto della deriva di estrema destra della maggioranza di governo, nel Pd il giorno dopo l’assemblea nazionale è ancora scontro sulle parole di Renzi. Martina prende posizione, ritiene sbagliate le critiche a Gentiloni, sottolinea di voler lavorare per “un Pd diverso”. L’ex premier replica che si tratta solo di “politica”, nessun intento polemico, “sono pronto a confrontarmi con tutti, su tutto, dall’Europa e l’immigrazione fino ai vitalizi o ai voucher”. Ed ancora: basta “con le divisioni interne e le lotte fratricide”, “stanno attaccando il Matteo sbagliato”. Di fatto l’avvio della fase congressuale più che sulle proposte da portare avanti resta fermo sulle responsabilià della sconfitta del 4 marzo. “Martina avrebbe potuto dire queste cose ieri, perché lo ha fatto solo oggi?”, ironizza un renziano. “Si ricordi che lo abbiamo eletto noi”, spiega un altro. Da Matteo Renzi prende le distanze anche il sindaco di Milano Sala (“Non è la guida giusta, basta con l’uomo solo al comando”) che domani incontrerà Franceschini. L’obiettivo del fronte anti-renziano è quello di consolidare una rete di amministratori, oltre che nel partito, per far partire un nuovo corso. Con un lavoro di tessitura e l’obiettivo di ragionare non in ottica maggioritaria ma per riallacciare i legami con tutti i corpi del centrosinistra, a partire da Leu per finire con i sindacati e il mondo dell’associazionismo. Un’opera che porterà avanti il nuovo segretario.
La surreale “battaglia” per il Congresso Pd di un ceto politico sconfitto che non ha più nulla da dire
Ma la battaglia è già per il congresso: “La verità è che nessuno vuole essere il candidato di Renzi, tutti quelli che hanno avuto contatti con lui ora lo criticano”, è l’osservazione dei ‘big’ che puntano a mettere in minoranza l’area dell’ex premier. “E’ un errore costruire un congresso contro Renzi, bisogna evitare di tornare alla dicotomia Ds-Margherita, la mela si può spaccare”, ribattono i fedelissimi dell’ex segretario dem. Sotto traccia si muovono i pontieri come Guerini e Delrio per evitare strappi. Agli atti c’è il gelo tra Renzi e Gentiloni e le stoccate di Calenda che mal ha digerito l’armistizio tra correnti siglato ieri. Il Pd è “in crisi puberale dal 5 marzo. C’è un clima di scontro perenne, così non si va da nessuna parte. Bisogna rifondare un fronte progressista ampio e articolato”, rilancia l’ex ministro. Mentre le truppe si posizionano (per ora in campo c’è soprattutto Zingaretti sul quale convergeranno gli orlandiani, big come Gentiloni e Veltroni, gli unionisti prodiani) il primo banco di scontro sarà sul dl dignità. Per i renziani va smontato, vanno alzate le barricate. Ma l’altra posizione interna al partito è diversa e non è portata avanti solo dai fedelissimi di Emiliano e dell’ex guardasigilli: va condivisa – questo il ragionamento – la filosofia di fondo per rendere più strutturati i rapporti di lavoro. E’ un sentimento comune che attraversa diverse aree dem: occorre lavorare per modificare il provvedimento caro a M5s, non fare una guerra. Probabile che emergeranno distanze all’interno dei gruppi parlamentari. “Ma i numeri ce li abbiamo noi…”, mettono le mani avanti i renziani. La partita interna si giocherà anche su altri temi. Ed è lo stesso Renzi, nel sottolineare di essere pronto al confronto su altre questioni come i vitalizi, l’Europa e l’immigrazione, a far capire di non essere disposto ad arretrare. Fino alle Europee (l’obiettivo è dar vita ad un ‘fronte repubblicano’, di tipo macronista, magari da lanciare alla Leopolda di ottobre) in ogni caso l’ex presidente del Consiglio non scoprirà le carte. “Sarà quello lo snodo cruciale”, dicono i suoi.