Quando nei giorni scorsi ho deciso di presentare il mio curriculum al Senato e alla Camera per la nomina dei consiglieri di amministrazione della Rai l’ho fatto con uno scopo preciso. Un mio amico giurista mi aveva detto: la legge è fatta così male che dopo le elezioni fioccheranno i ricorsi. Allora io, che ho passato gran parte della mia vita professionale ad occuparmi di regole da scrivere e – ancora più importante – da rispettare, ho ritenuto fosse mio dovere andare a verificare.
Beh, devo dire che – come al solito – quel mio amico giurista che di Costituzione e di Rai si intende, aveva ragione.
Ma c’è un’altra ragione, un altro esempio che mi ha spinto.
Ero giornalista parlamentare nei giorni in cui cinque ministri democristiani ( parliamo di un’altra era geologica) si dimisero contro l’approvazione della legge Mammi’. Molti lessero l’iniziativa come un atto contro Berlusconi e invece fu l’allora deputato Sergio Mattarella a spiegare bene le ragioni di quel gesto: si trattava soltanto di rispetto delle regole.
Il governo,infatti,aveva deciso di porre la questione di fiducia e Mattarella spiegò:
“Riteniamo che porre la fiducia per violare una direttiva comunitaria sia in linea di principio inammissibile”.
Dunque le regole. Le regole come principi non trattabili, e tra questi l’art. 21 della costituzione e cioè la libertà di stampa. Un concetto riproposto pochi giorni fa quando il Presidente della Repubblica ha ricevuto al Quirinale un gruppo di magistrati e ha ripetuto loro di attenersi al “ rispetto di un’autentica logica democratica” e a non cadere nella trappola della faziosità e della dittatura della maggioranza.
Questo penso sia anche il senso della proposta di Giulietti di costituire un osservatorio che vigili – in tempi tanto difficili per l’informazione – sull’osservanza delle regole: a cominciare dalla Rai servizio pubblico.
Un osservatorio, dunque, che riunisca giuristi, operatori dei media ( nelle loro multi rappresentanze ), naturalmente I sindacati.
Primo obiettivo la messa in discussione della legge di riforma della Rai che ha già mostrato tutti i suoi limiti. Solo un paio in estrema sintesi: come verrà designato l’ Amministratore Delegato? Con il solito metodo da prima e seconda repubblica?
Sarebbe bello vedere un designato che si presenta al Parlamento illustrando un piano che ridisegni il ruolo del servizio pubblico all’interno della crisi generale di tutti i servizi pubblici europei. Che ci spieghi quali potrebbero essere le conseguenze di un piano industriale rispetto ad un altro per esempio sul piano editoriale (sarebbe assurdo interrogarsi se non sia venuto il momento di pensare ad una ripartizione per prodotti e generi superando così lo storico scontro su:quante testate? E per fare cosa?)
E poi: che logica ha dare al consigliere rappresentante dei lavoratori il voto in Cda? Mi permetto di dirlo perché sostenevo il progetto di un rappresentante dei lavoratori in Cda più di 22/23 anni fa ma senza diritto di voto e non perché fosse una mia invenzione ma perché lo sosteneva un grande segretario della Fnsi, Sergio Borsi, che ne aveva studiato gli effetti soprattutto nelle aziende tedesche. Nel voto c’è un chiaro conflitto d’interessi: se vogliamo denunciare quelli degli altri non possiamo chiudere gli occhi sui nostri
Io credo che di lavoro da fare per un organismo di questo genere ce ne sarebbe.
Con un’assicurazione da parte nostra: la politica non si troverebbe di fronte un nemico pregiudiziale, pronto ad urlare alla “fine della Democrazia” ad ogni piè’ sospinto ma farebbe l’esperienza esaltante di qualcuno pronto a prendersi la responsabilità di quanto sostiene e a dare anche i suggerimenti necessari a sciogliere qualche nodo senza avere la presunzione di avere l’unica verità in tasca.
Non sarebbe questo davvero l’elemento di novità da provare?
Iscriviti alla Newsletter di Articolo21