Tra materassi e cartoni buttati a terra è passata la prima notte di presidio a via Scorticabove a Roma, dopo lo sgombero dell’immobile. L’assessore Baldassare ha aperto alla possibilità di trovare una soluzione, l’appuntamento è rinviato a giovedì prossimo. Il vescovo di Roma, Paolo Lojodice, in visita agli occupanti
ROMA – Qualcuno ha steso un cartone a terra, qualcun altro ha la fortuna di potersi sdraiare su un materasso. Tutti stanotte hanno dormito in strada per protestare contro lo sgombero di ieri mattina dello stabile di via Scorticabove, nella periferia est di Roma dove da anni vivevano circa un centinaio di rifugiati, provenienti dal Sudan e dal Darfour, in un’occupazione autogestita e nata dopo la fine di un progetto di accoglienza. Dopo un pomeriggio di assemblea pubblica gli occupanti hanno deciso di restare in presidio sulla strada dove sorge la struttura e dove, di fronte ai cancelli e all’entrata chiusa con un lucchetto e presidiata dall’interno da un vigilante, sono state sistemate le valigie con i pochi effetti personali presi al momento dell’irruzione della polizia. “Siamo rifugiati, veniamo dal Darfour, siamo in Italia da dieci anni – spiega Adam – Vivevamo qui senza pesare sulle casse dello Stato, ci gestivamo da soli. Questa mattina non ci hanno neanche avvisato, dicendo dovete uscire, andare via. Niente, ci hanno buttato per strada, per questo non andiamo via. Rimaniamo e chiediamo al sindaco di venire qui e trovare una soluzione insieme. Siamo stati sempre rispettosi, e invece oggi ci hanno danneggiato tutto dentro casa. Ci hanno rotto le nostre cose e buttato qui”.
Baldassarre apre tavolo di confronto, appuntamento a giovedì. Nella tarda serata di ieri l’assessora alla Persona, Scuola e Comunità solidale Laura Baldassarre si è recata sul posto per parlare con i rifugiati. Solo due, infatti, hanno accettato di trasferirsi nei centri di accoglienza extra Sprar offerti dall’amministrazione capitolina attraverso la Sala operativa sociale. “Gli operatori hanno effettuato colloqui individuali nel corso di tutta la giornata, garantendo supporto e informazioni – fa sapere l’assessorato in una nota -. L’amministrazione capitolina sta mettendo in campo tutti gli strumenti che rientrano nel perimetro delle sue competenze. Allo stato attuale, molte persone continuano a chiedere chiarimenti sulle strutture proposte, rimanendo di fatto sulla posizione di diniego all’inserimento nel circuito di accoglienza”. Anche per questo l’assessora ha deciso di aprire un tavolo con gli occupanti e le associazioni che li supportano. L’appuntamento è rinviato a giovedì prossimo. L’obiettivo è trovare una sistemazione stabile per le persone che non vogliono rientrare in un percorso temporaneo di accoglienza, dove hanno già vissuto per anni.
Monsignor Lojodice: porterò il caso all’attenzione di Papa Francesco. Intanto nel pomeriggio è partita anche la macchina della solidarietà attraverso una chiamata via social network fatta da Aboubakar Soumahoro, rappresentante Usb. “La volontà dei rifugiati, lasciati per strada con un trattamento che non viene riservato neanche ai rifiuti, che vengono almeno differenziati, è di rimanere qui – sottolinea -Per loro dobbiamo chiamare a raccolta tutta la città per dimostrare che c’è chi non si riconosce in questo nuovo che avanza, che tratta in questo modo gli esseri umani. Roma non è questo”. E nella serata sono arrivate lenzuola e cibo (pasta, riso, frutta) portate dalle persone che vivono nelle occupazioni vicine, nella zona della Tiburtina. Al presidio in tarda serata è arrivato anche monsignor Paolo Lojodice, vescovo ausiliario della diocesi di Roma. “Purtroppo questa situazione non è una novità, ma questa volta mi sembra particolarmente fuori luogo l’azione fatta in questo modo: si tratta di persone fragili che vivevano in una situazione pacifica di convivenza -spiega a Redattore sociale -. Li ho incontrati poco tempo fa, mi hanno raccontato la loro storia. La cooperativa che gestiva il centro non c’è più e loro si autogestivano”. Per Lojodice il problema è sempre lo stesso, come già accaduto un anno fa a piazza Indipendenza, “invece di aprire un dialogo, un tavolo di confronto per cercare una soluzione, si agisce con la forza. Sono rifugiati politici, in regola con i documenti si preferisce fare questo. Evidentemente l’obiettivo è dare segnali forti, del pugno duro”. Il vescovo di Roma spiega di voler portare la situazione dei sudanesi di via Scorticabove anche all’attenzione di Papa Francesco. “Stiamo vivendo una due giorni organizzata dal Pontificio consiglio dei migranti e dei rifugiati per riflettere sul documento che dovrà essere preparato dalla Chiesa sul tema della tratta – aggiunge – e abbiamo la messa con il Papa in occasione del quinto anniversario della sua visita a Lampedusa, approfitterò per fargli presente questa situazione e per riordinare le forze della Chiesa, da Sant’Egidio al Centro Astalli fino alla Caritas per capire come possiamo agire a supporto di queste persone. E’ lo stesso che abbiamo fatto un anno fa dopo lo sgombero di via Curtatone, anche se, come allora, è difficile trovare dall’altra parte un’interlocuzione valida e seria”. (Eleonora Camilli)