Il caso della giornalista Ilaria Alpi e dell’operatore triestino Miran Hrovatin, assassinati a Mogadiscio il 20 marzo 1994, non è una questione di famiglia. Non lo è neanche il caso Regeni, come ha ipotizzato recentemente un autorevole esponente dell’attuale governo. E nemmeno il caso Rocchelli, di cui venerdì 6 ci sarà la prima udienza pubblica al Tribunale di Pavia: proprio perché non è un fatto individuale, al processo per l’assassinio del fotoreporter italiano ammazzato in Ucraina assieme ad Andrej Mironov il 24 maggio 2014 ci saranno anche la Federazione Nazionale della Stampa e l’Associazione Lombarda dei Giornalisti, che si sono costituite parte civile e saranno rappresentate dall’avvocato Giuliano Pisapia.
La scelta, ufficializzata stamattina a Roma, di costituzione di parte offesa da parte della Federazione Nazionale della Stampa, dell’Ordine dei Giornalisti e dell’Usigrai nel procedimento che segue alla decisione del gip Andrea Fanelli di richiedere ulteriori accertamenti sul caso Alpi-Hrovatin, non è una solidarietà postuma, ha detto Beppe Giulietti, presidente FNSI, introducendo la conferenza stampa, ma una richiesta di verità a sostegno del diritto a essere informati che è di ogni cittadino e di ogni democrazia. Perché, come ha spiegato l’avvocato Giulio Vasaturo, il crimine che colpisce un giornalista attenta alla libertà d’informazione, mina l’articolo 21 della nostra Costituzione: chi ha annientato la vita di Ilaria e di Miran non ha solo privato del bene più prezioso due persone e le loro famiglie, ma ha scalfito il patrimonio di valori di cui Fnsi, Ordine dei Giornalisti e Usigrai sono portatori. La costituzione di parte offesa, ha spiegato Vittorio Di Trapani, segretario dell’Usigrai, ci consentirà di dare un contributo concreto alle indagini che proseguiranno per i prossimi 180 giorni: «invito tutti» ha proseguito «a costituire dei gruppi di lavoro d’inchiesta per offrire ulteriori elementi alla ricerca della verità, che non può fermarsi ai perimetri aziendali». Sarà dunque possibile presentare memorie e indicare agli inquirenti, nel rispetto dei reciproci ruoli, elementi di prova, come hanno instancabilmente fatto in questi anni Luciana e Giorgio Alpi. Del resto, ha detto Antonio Di Bella, direttore di Rai News, se il nostro lavoro di giornalisti ha un senso, è quello di essere un antidoto ai depistaggi. Un compito fondamentale, perché — questo l’amaro ma realistico ammonimento di Mariangela Gritta Grainer, da sempre al fianco della famiglia Alpi — c’è più di qualcuno che pensa che tra sei mesi verrà tutto archiviato.
#NoiNonArchiviamo: lo dobbiamo a Ilaria e Miran, ad Andrea e Andrej, a Giulio e a molti altri. Ma soprattutto lo dobbiamo a ciascuna e a ciascuno di noi, perché senza informazione non c’è democrazia e dove non c’è democrazia spesso c’è la guerra.