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Muore Marchionne. Un’orgia di elogi funebri

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Forse l’ad Fca, devoto al “maglioncino girocollo” non avrebbe gradito. Una radiografia critica. L’attacco a Fiom e Cgil. Licenziamenti politici e discriminazioni

Di Alessandro Cardulli

Non ce la facciamo, anzi non lo vogliamo proprio, ad inserirci nell’orgia di elogi funebri, di dichiarazioni rilasciate da esponenti delle istituzioni, del governo, delle forze politiche, da editorialisti, commentatori, grandi e piccoli giornalisti, conduttori televisivi e radiofonici, quotidiani online: una esplosione di commenti appena resa nota la notizia della scomparsa di Sergio Marchionne. Doveroso, riteniamo, è il cordoglio, che si deve in queste occasioni, la morte di una figura pubblica. Ma  cordoglio non significa dimenticare. La morte non ci salva dai nostri peccati.

E noi, un giornale che odia l’ipocrisia, non ce la facciamo a dimenticare che la sigla Fca, e prima Fiat, non è solo un marchio di fabbrica, che Fca, prima di tutto, sono uomini e donne, qualche decina di migliaia, operaie e operai che hanno salvato un grande gruppo industriale, che hanno sofferto per ritmi produttivi di intensità insopportabile, che hanno conosciuto troppo spesso il peso della cassa integrazione, dei contratti di solidarietà, della mancanza di certezza sul posto di lavoro. Non ce la facciamo a cancellare la sofferenza del lavoratore che si vede discriminato, che non può riunirsi insieme ai propri colleghi se sei iscritto alla Fiom, alla Cgil. Non ce la facciamo a dimenticare che anche nell’era Marchionne, malgrado sentenze dei tribunali, si è impedito a delegati sindacali di tornare nel posto di lavoro. Ai tribunali che condannavano le discriminazioni sindacali e ordinavano di far tornare al lavoro i dipendenti accusati di gravi reati, anche il boicottaggio, rispondevano che Fiat era disponibile a pagare il salario, ma, loro, fuori dalla fabbrica.

La vicenda dei tre operai licenziati a Melfi. Il tribunale li fa riassumere

Ci è tornata a mente la vicenda vissuta, Marchionne amministratore delegato, da tre operai della Fiat di Melfi. Giovanni Barozzino, eletto senatore nelle liste di Sel, Antonio Lamorte e Marco Pignatelli. L’azienda, ovviamente l’ad era informato dei fatti, li aveva licenziati accusandoli di aver bloccato, durante uno sciopero interno, un carrello diretto a lavoratori che non aderivano alla protesta.  Ci sono volute due sentenze che avevano dichiarato illegittimo il licenziamento, poi quella definitiva della Cassazione per aprire di nuovi i cancelli della fabbrica.

Ci sono tornati alla mente altri episodi dell’era Marchionne. Rappresentanti della sicurezza in rappresentanza della Fiom, sostituiti con iscritti ad altri sindacati.  Oppure  viene loro impedito di controllare i luoghi degli incidenti. Dal 31 dicembre 2011 raccontano le cronache sindacali di cui anche noi siamo stati protagonisti, viene meno per gli iscritti alla Fiom la “base attributiva” dei diritti sindacali. Non possiamo dimenticare le immagini che hanno fatto il giro del mondo degli operai Fiom che lasciano le salette sindacali – come spiegava un delegato di Mirafiori – portando via le immagini in bianco e nero di Berlinguer e Trentin. “Le abbiamo chiuse in scatole di cartone e portate in Quinta Lega (la casa della Fiom a Corso Unione Sovietica, Ndr) – spiegava il delegato Fiom – pronte per quando rientreremo in fabbrica e intanto continuiamo ad essere presenti girando fra le varie porte con il camper Fiom”.

Tornano a mente i “reparti confino” dell’era Valletta, l’Officina Stelle Rosse

Rovistando nella nostra storia giornalistica, vissuta in gran parte all’Unità, ci tornano a mente i “reparti confino” dell’era Valletta, dove venivano inviati gli iscritti al Pci, al Psi anche, gli iscritti alla Fiom Cgil, i lavoratori che scioperavano, gli “attivisti”. Il 15 dicembre del 1952 la Fiat inviò un elettricista a sistemare un piccolo stabilimento per preparare una nuova officina, l’Officina Sussidiaria Ricambi (Osr). In realtà  l’Officina non venne mai attrezzata, vi venivano inviati gli attivisti sindacali e politici. Tanto che  Osr venne subito  tradotta in Officina Stelle Rosse. Scrive Aris Accornero  in “Fiat confino” edito nel 1959 che in quel reparto “salvo alcuni del Psi venivano inviati quadri del PCI e della FIOM CGIL, molti dei quali avevano partecipato alla Resistenza contro il nazifascismo, come comandanti, come combattenti o staffette, in montagna e nelle SAP (alcuni di loro avevano anche diretto la difesa delle fabbriche FIAT dalle distruzioni delle truppe tedesche)”. Già, si dirà, ma quei tempi sono lontani. Ma non sono lontane le assunzioni, ai tempi di Marchionne, da cui sono tassativamente esclusi metalmeccanici della Cgil. Non solo. Un simil reparto confino esiste a Nola, a pochi chilometri da Pomigliano. Un capannone del tutto slegato dalla produzione dove a partire dal 2008 vengono trasferiti quegli operai con “ridotte capacità lavorative”, che non reggono i ritmi.

Dietro il paravento del “sindacalismo ideologico”, un leit motiv dell’attacco di Marchionne alla Cgil e alla Fiom, si  è nascosta  una politica  che ha puntato tutto su grandi operazioni finanziarie, tutte, o quasi azzeccate, che hanno permesso di azzerare il debito di una gestione Fiat da parte  della famiglia Agnelli, tutta chiusa in vecchie logiche padronali. Certo dai tempi di Valletta a quelli di Marchionne ce ne corre. Ma la linea della divisione sindacale, dividere le organizzazioni dei lavoratori, forse nel ricordo della marcia dei centomila, dei sindacati gialli in chiave moderna, si fa per dire, non verrà mai abbandonata. Così come la ricerca dello scontro, dietro  una  politica “bonaria”, la costruzione da parte sua di una immagine tipo dell’amico di famiglia, il maglioncino girocollo, la cravatta che viene lasciata nell’armadio. Senza dubbio una personalità forte che ha lasciato il segno nell’immaginario collettivo. I media se ne sono appropriati e, a nostro parere, l’operazione cui stanno partecipando editorialisti, commentatori, economisti, esponenti delle istituzioni, del governo, delle forze politiche, sindacalisti di Cisl e Uil, sminuisce, evitando ogni parola di critica, quasi sia un’eresia, il ruolo che l’ad ha avuto, e non solo a livello internazionale, il suo rapporto con Obama, il coraggio di alcune operazioni finanziarie  che hanno goduto della “benevolenza” di alcune banche, il baratto fra debiti e azioni. Torniamo all’inizio.

Dimenticato dai media il Workers day. Manifestazioni in tutto il Gruppo

Non ce la facciamo a parlare di Marchionne senza parlare di Fiat, quella che era quando l’ad la prese nelle sue mani e quella di oggi. Non possiamo ignorare come hanno fatto i giornaloni, la tv, che proprio pochi giorni prima dell’annuncio del pareggio di bilancio, l’Investor day, la Fiom aveva dato vita al workers day,  con assemblee e manifestazioni in tutte le città dove Fca opera, per denunciare una situazione in cui cassa integrazione ed esuberi, contratti di solidarietà sono all’ordine del giorno. Ma tutto viene cancellato dai media. Lo si trasforma in un “eroe” che salva, quasi fosse un mago, aziende, posti di lavoro, crea nuova occupazione in Italia, ovunque abbia operato. Senza dubbio un bravo manager, capace di azzardate operazioni finanziarie. Ma non un eroe dei due mondi come lo si fa comparire nei media. Pensiamo che non gradirebbe. Altrimenti non avrebbe fatto sfoggio di quel maglioncino girocollo.

Intanto, nel giorno della sua scomparsa, il titolo del Lingotto è crollato del 15,5%, al debutto del nuovo ad Mike Manley, che ha presentato una semestrale sotto le aspettative: l’azione ha chiuso appena sotto i 14 euro, ai minimi dall’ottobre 2017, penalizzando anche Exor (-3,49%), Ferrari (-2,19%) e Cnh (-0,27%).

Da jobsnews

 


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