Quella notte, nelle ore tragiche fra il 27 e il 28 luglio del ’93, l’allora presidente del Consiglio Ciampi temette un colpo di Stato. In villeggiatura a Santa Severa, l’ex governatore della Banca d’Italia, alla guida di uno dei vari governi della disperazione di quegli anni drammatici, in piena Tangentopoli e con la DC che due giorni prima, il 25 luglio, aveva di fatto chiuso i battenti, cercò di mettersi in contatto con Palazzo Chigi ma la linea cadde all’improvviso.
Erano i giorni delle bombe in via Palestro e presso le chiese di San Giovanni in Laterano e San Giorgio al Velabro, i giorni della trattativa Stato-mafia e della nascita di Forza Italia per iniziativa di Berlusconi ma, soprattutto, di Marcello Dell’Utri, condannato in via definitiva a sette anni per concorso esterno in associazione mafiosa; erano i giorni della rabbia popolare, dell’incertezza e dell’avvio di una nuova fase politica, il cui bilancio, venticinque anni dopo, può essere definito senza remore totalmente fallimentare.
Senza Ciampi e Scalfaro, sia detto con chiarezza, non ne saremmo venuti fuori. Senza due uomini delle istituzioni del loro livello, impregnati di quella cultura democratica e costituzionale di cui oggi siamo profondamente deficitari, la crisi ci avrebbe travolto. Non ci dimentichiamo, infatti, che erano trascorsi appena tre mesi dalla sera del Raphaël e delle monetine lanciate contro Bettino Craxi; e teniamo presente anche che solo un anno prima erano saltati in aria Falcone e Borsellino, nel falò di una Repubblica devastata dal malaffare e dalle tangenti e travolta da vicende epocali di carattere internazionale come la caduta del Muro di Berlino e la dissoluzione dell’Unione Sovietica.
Stava cambiando tutto, purtroppo in peggio, e anche se ancora c’era una qualche speranza, l’anti-politica e il risentimento popolare erano all’ordine del giorno, acuiti dall’inchiesta di Mani Pulite e dalle confessioni di personaggi illustri di cui erano state smascherate le trame e le collusioni.
Erano i giorni di suicidi strazianti come quelli del presidente dell’ENI, Gabriele Cagliari, e di Raul Gardini, dominus del capitalismo italiano a cavallo fra gli anni Ottanta e Novanta e al centro della madre di tutte le tangenti, riguardante Enimont, con conseguenze devastanti per la tenuta del sistema industriale italiano.
Tutto in una settimana, dal 20 al 27-28 luglio 1993, mezzo secolo dopo le vicende di un altro luglio decisivo per la nostra storia e il nostro futuro. La differenza fra le due estati sta nel fatto che nel ’43 si tornò a sperare e a credere in qualcosa, cinquant’anni dopo si smise di aver fiducia nella politica e nel prossimo e i risultati di quella catastrofe sono sotto gli occhi di tutti.
Venticinque anni e un’intera generazione cresciuta senza politica, al cospetto di un mondo impazzito e della progressiva dissoluzione del Paese.
Venticinque anni e il desiderio, da parte di alcuni di quei ragazzi, di riallacciare i fili strappati, sgomberare le macerie e ricostruire qualcosa di importante.
Venticinque anni e una nuova coscienza civica da incoraggiare e valorizzare. Perché non abbiamo il diritto di abbandonare sotto le nostre macerie le legittime aspirazioni di chi vuole comunque guardare avanti. Lo scrisse qualche anno fa lo stesso Ciampi e solo ora ci rendiamo conto di quanto avesse ragione.
P.S. Sono trascorsi cinque anni dal rapimento, in Siria, di padre Paolo Dall’Oglio. Questo articolo, e gli altri che pubblicherò nei prossimi giorni, è dedicato a lui, affinché la comunità internazionale non smetta di cercarlo, nessuno si dimentichi della sua vicenda e possa, prima o poi, essere restituito all’affetto dei suoi cari. L’umanità intera ha bisogno di persone come lui.
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