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L’invasione dei 450 migranti e la pietà perduta. Dialogo con Giusi Nicolini

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Per quanto ci si sforzi, si fatica a comprendere la logica matematica secondo cui 450 migranti divisi in Europa possano costituire un successo politico strategico sul tema migrazione. L’equazione non torna neanche sotto il profilo politico. È un numero talmente irrisorio che probabilmente ci è costato più in bolletta telefonica del premier Conte impegnato a chiamare i leader europei, di quanto ci sarebbe costato farli scendere a terra e accoglierli. Ma soprattutto è privo di un impegno in prospettiva, è un si che vale una volta e che, come annuncia Malta, vale come precedente per avere un ritorno in futuro. Senza contare che all’appello di Conte dicono no i paesi del gruppo di Visegrad quelli che non ne vogliono sapere di redistribuzione e di solidarietà europea: Slovacchia, Polonia, Ungheria, Repubblica Ceca. E il paradosso è che sono gli stessi con i quali il ministro dei porti chiusi ha maggiore affinità, da sempre. Ma così come scompare la pietà abbiamo capito che anche la logica non trova soddisfazione di questi tempi.

Il governo dei porti chiusi si esalta all’idea di aver dato inizio ad una condivisione che “prima d’ora non c’era” e si ostina a dichiarare che il peso grava solo sull’Italia. Anche questa però e un’equazione complicata dai numeri e dalla storia che dice che, ad esempio nel 2015, l’anno di massimi afflussi di migranti in Europa, la Germania ha accolto un milione di rifugiati contro i 185 mila dell’Italia, di cui peraltro molti sono andati via il più in fretta possibile. Ma ormai si sa, le vie della percezione distorta dalla propaganda sono infinite. E questo è un paese che chiama invasione un numero di persone senza documenti (600 mila secondo la stima di Istat) che non riesce neanche a riempire piazza san Giovanni a Roma.

Mentre si festeggia la solidarietà europea conquistata, la nostra solidarietà quella che è stata da sempre l’orgoglio del nostro paese e della nostra Guardia Costiera, ha la forma dell’ennesimo blocco dei porti, la forma di sagome di navi militari cui è impedito l’attracco. A bordo i 450 migranti, disidratati, bruciati dal cherosene, con addosso le cicatrici delle torture subite o i segni di una fame che assomiglia a quella dei campi nazisti secondo la descrizione di alcuni medici.

Il governo è li a darsi pacche sulle spalle o a Mosca a guardare la finale dei mondiali e loro sono li, ancora in alto mare.

Ma c’è un fatto che non dovremmo sottovalutare: quel barcone di legno a due piani con cui sono arrivati a ridosso dell’isola di Lampedusa è identico ad un altro barcone adagiato sul fondo del mare a 500 metri dalle coste dell’isola dal 3 ottobre del 2013. Sono passati cinque anni esatti e tutto sembra essere tornato come allora.  Giusi Nicolini, premio Unesco per la pace ed ex sindaco dell’isola dell’accoglienza, guarda con sgomento quello che sta accadendo.

“Lampedusa torna al centro delle rotte migratorie. Sapevamo che chiudere i porti non sarebbe servito a fermare nessuno ne, tantomeno, a diminuire i morti. Anzi, abbiamo visto che i morti sono aumentati anche e soprattutto perchè in mare non c’è più nessuno a soccorrere. Cambiano le rotte e i gruppi criminali si organizzano di conseguenza e mettono in mare, di nuovo, barconi di legno stracarichi di persone. La situazione sta tornando esattamente come era quando Lampedusa era completamente sola ad affrontare gli arrivi dal mare. Abbandonata dall’Italia prima che dall’Europa, lasciata sola. Ma questo avviene perchè la geografia non si può cambiare, nessuna politica e nessun “superuomo” come Salvini potrà mai cambiarla: i barconi continueranno a partire e Lampedusa continuerà ad essere l’approdo sicuro più vicino. Dal mio punto di vista Lampedusa è sempre stata il porto sicuro più vicino. Abbiamo accolto e dato soccorso a decine di migliaia di persone e solo quando erano salvi e in salute abbiamo preteso che l’Italia e l’Europa si facessero carico dell’accoglienza che Lampedusa da sola certo non poteva sostenere. Quello che accade oggi è l’esatto contrario: prima si chiede di condividere e poi, forse, si offre soccorso. È semplicemente disumano.”

Oggi la presunta invasione è diminuita dell’80 per cento rispetto all’anno precedente. 80 per cento. I numeri contano poche decine di migliaia e non sono più neanche i più alti: ne arrivano più in Spagna 20.218 che non in Italia 17.080.

In questo quadro quei 450 naufraghi lasciati per giorni in mezzo al mare cosa rappresentano? E se l’emergenza dovesse riproporsi come nel 2011 quando a Lampedusa sono arrivate 60 mila persone nell’arco di una settimana e i barconi al molo Favaloro facevano la fila, come si dovrà intervenire,? Li lasceremo tutti in mare ad aspettare? Come si riuscirà ad ottenere solidarietà e condivisione dall’Europa? Quante telefonate dovrà fare il presidente del consiglio?

“Tutti sembrano aver dimenticato la data che sembrava essere diventato uno spartiacque tra il prima ed il dopo: il 3 ottobre 2013. Quel giorno drammatico non solo attirò l’attenzione sui naufragi che nel silenzio e nell’indifferenza avvenivano da tempo nel Mediterraneo, ma dimostrò l’assurdità dell’atteggiamento pilatesco dell’Europa e del nostro stesso paese che non vedevano e non intervenivano. Il rischio, ora che il soccorso è stato ostacolato e boicottato fino a farlo diventare un reato, è che torneremo a prima di quel naufragio, torneremo a non vedere e a non intervenire mentre la strage continua a ripetersi ogni giorno. Torneremo a vedere i barconi arrivare da soli, torneremo a contare i morti solo nei racconti dei superstiti e dei pescatori, torneremo ad avere la possibilità di altri naufragi a 500 metri dalle coste.
Quello che credevo Lampedusa avesse definitivamente dimostrato è che il valore della vita umana è ineludibile e che il soccorso è un dovere ineludibile. Oggi, invece, si ricomincia da capo.”


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