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La “rivoluzione” in cammino

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di Giuseppe Alfieri

A Corleone, a casa nostra, da poco più di un anno la gente ha iniziato a camminare. Non mi fraintendete, non è che abbiamo imparato soltanto adesso ad usare le gambe!
Certo, l’immagine del corleonese “tipo” che avete voi del Continente è quella degli anziani con la coppola seduti sulle panchine davanti la villa; non è colpa vostra, è l’immagine che vi hanno sempre trasmesso di noi.
Naturalmente, qui in paese la gente ha sempre camminato per le strade, i bambini hanno sempre giocato all’aperto nei quartieri e prima dell’avvento del progresso tecnologico, quando le automobili e i mezzi agricoli se li potevano permettere in pochi, i contadini andavano a piedi a lavorare nelle campagne, partendo dalle loro abitazioni in paese molto prima del sorgere del sole e facendovi ritorno all’ora della cena.
Ma da un po’ di tempo a questa parte noi corleonesi siamo testimoni di una piccola rivoluzione culturale, potenzialmente decisiva: la scoperta del mondo finora sconosciuto dei cammini, il mondo di chi sceglie di attraversare la vita a piedi, con lentezza, respirando ad ogni passo l’odore buono della Sicilia.
Corleone è diventata meta di camminatori e tappa di transito di alcuni tra i cammini ed i pellegrinaggi più suggestivi della Sicilia, e questo movimento di persone tanto improvviso quanto inedito che ha interessato il nostro paese, ha incuriosito subito la comunità corleonese la quale, sin dai primi zaini sulle spalle incrociati per la via o fermi in piazza, ha simpatizzato istintivamente con i viandanti ed ha riconosciuto nel loro passaggio per la città animosa un segno positivo del mutamento dei tempi e delle condizioni storiche.
Noi corleonesi, inoltre, abbiamo iniziato anche a comprendere che questo fenomeno avrebbe potuto interessarci direttamente, da protagonisti e non da spettatori delle nostre singole storie quotidiane; insomma, molti di noi hanno iniziato a camminare in lungo e in largo per i sentieri e le trazzere, su e giù per le nostre montagne.
Abbiamo scoperto che il cammino è uno strumento democratico, perché proprio tutti possono avvicinarvisi; ma anche perché il camminare, ce ne rendiamo finalmente conto, permette a quanti fra noi hanno sempre vissuto il nostro territorio in maniera spesso distratta, di riscoprirlo invece nella sua pienezza, di reinterpretarlo alla luce dei reali bisogni dei luoghi urbani ed extraurbani, e soprattutto di riappropriarsene compiutamente e di sentirsene, probabilmente per la prima volta in termini di comunità e non di singoli, veramente custodi.
Ecco dove sta, a mio avviso, la grande rivoluzione del Cammino; una rivoluzione lenta e gentile, in un territorio frustrato per decenni da promesse non mantenute, da una politica sorda e distante e da una mafia che si è arricchita grazie all’impoverimento del tessuto economico, sociale e culturale della nostra comunità, fino ad indurre i cittadini alla rassegnazione.
Ebbene, diventare custodi e primi fruitori del proprio territorio e delle sue risorse, riscoprire i luoghi che furono abitati dai nostri nonni e dai nostri padri e che noi stessi abbiamo scelto di abitare, è la nostra piccola rivoluzione, la forma più elevata di riscatto che potevamo sperare di ottenere.
Da essa discendono infinite altre possibilità che non ci possiamo lasciare scappare e che riguardano la nostra crescita, intesa nel senso di uno sviluppo territoriale finalmente pieno e sostenibile, rispettoso dei ritmi naturali e delle bellezze che ci circondano, oltre a nuove possibilità di lavoro per i più giovani; possiamo finalmente accompagnare, con il nostro impegno ed il nostro amore per questa terra, un turismo più consapevole e rispettoso della storia, della natura e dell’identità dei nostri luoghi, fatto da persone curiose, finalmente, di conoscere chi siamo veramente e chi siamo stati, quali sono le tradizioni che ci sono appartenute e quali i nostri obiettivi per il futuro.
Soprattutto, il Cammino può farci diventare cittadini consapevoli, attenti e responsabili, custodi del territorio dicevamo, elevandoci ad un ruolo per certi versi nuovo per il nostro essere corleonesi; un ruolo da protagonisti assoluti, una forma di democrazia territoriale compiuta che ci pone in dote l’arma più potente di cui i cittadini possono disporre, che è la conoscenza; se impariamo a conoscere bene questo nostro territorio, non potremo che amarlo senza compromessi e senza condizionamenti, sentendo addosso la responsabilità e l’onore di preservarne la bellezza unica.
Alla fine di tutto conterà soltanto il modo in cui avremo camminato, il rispetto che avremo avuto per le persone incontrate lungo la via, per le campagne e le città che avremo abitato; conterà il modo in cui saremo stati capaci di preservare Corleone, e la maniera in cui avremo saputo custodire il nostro territorio per consegnarlo, fra qualche decennio, ai nostri figli.
In fondo cos’è questo nostro passaggio sulla Terra, se non un grande Cammino che a passi lenti, a mente aperta e cuore grande, ci condurrà verso l’ultimo dei nostri paesi?

Da mafie


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