Forse per evitare che, ancora una volta, Salvini gli sottraesse l’agenda mediatica, Di Maio, al termine del Consiglio dei Ministri, ha pensato bene di intestarsi le nomine dei vertici Rai con una dichiarazione deprecabile e ingiuriosa (“libereremo la Rai da raccomandati e parassiti”) ma anche improvvida perché dà per scontato ciò che scontato non è (“abbiamo nominato i vertici della Rai”). Come se non bastasse, il profilo del presidente non risponde a quei criteri di “garanzia” impliciti nella modalità stessa della nomina (2/3 del CdA e della Vigilanza), una garanzia resa ancora più ineludibile dalla necessità di bilanciare lo strapotere che una legge scellerata – al limite dell’incostituzionalità – assegna all’Amministratore delegato. Un argine a questa forzatura istituzionale può porlo Forza Italia, quindi proprio il partito che da oltre vent’anni costringe la Rai a un ruolo subalterno imponendogli sottosviluppo e un’egemonia sottoculturale che ne ha snaturato l’identità facendo pagare al paese un prezzo altissimo. Tant’è!
Come uscire da questo vicolo cieco che impone di combattere l’ennesima battaglia di retroguardia? Innanzitutto bisogna evitare di sottovalutare quanto di buono il movimento riformatore ha fatto in questi anni: un’opera non solo di mobilitazione contro i reiterati tentativi di ridimensionamento della Rai, ma anche di progettualità e di confronto critico con i partiti. Un lavoro che ha visto in prima linea Articolo 21, Usigrai, Fnsi, Move On, IndigneRai, Infocivica, Eurovisioni, i sindacati Rai e tante associazioni culturali: un impegno che ha prodotto risultati di non poco conto che vale la pena di ricordare: l’opposizione alla pretesa del viceministro Catricalà di mettere al bando il rinnovo della Concessione del servizio pubblico; la contestazione del “bollino blu” che avrebbe distinto i programmi finanziati dal canone da quelli finanziati dalla pubblicità; il contrasto alla campagna orchestrata da Mediaset e La7 volta ad attribuire quote del canone alle Tv commerciali; l’esclusione della Rai dall’elenco Istat delle società pubbliche; l’opposizione alla svendita di RaiWay e allo smembramento delle sedi regionali. Gran parte di questa mobilitazione è sfociata in proposte ed emendamenti che sono stati accolti nel testo della nuova Concessione decennale – che affida in esclusiva alla Rai l’esercizio del servizio pubblico radiofonico, televisivo e multimediale sull’intero territorio nazionale – e del conseguente Contratto di Servizio che definisce in modo chiaro e distinto la mission della Rai e i principi a cui ispirare la programmazione: imparzialità, indipendenza e pluralismo.
Un’ulteriore dimostrazione del buon lavoro svolto dal movimento riformatore è l’ingresso di Riccardo Laganà nel CdA della Rai. Eletto dai dipendenti dell’azienda e non su indicazione dei partiti, è da considerare, a tutti gli effetti, l’unico consigliere “ontologicamente” indipendente; e lo dimostra replicando duramente “al governo che minaccia rastrellamenti”. Inoltre, a differenza degli altri consiglieri, eletti dal Parlamento solo sulla base dei curricula, i voti raccolti da Laganà hanno premiato oltre la persona anche le sue linee programmatiche che cercherà di far valere nel lavoro consiliare, a partire da una radicale riorganizzazione dell’azienda in chiave intermediale e per macrogeneri.
Pertanto, nel prendere atto che, anche questa volta, la Rai è stata trattata alla stregua di una “posta in palio” nella contesa tra i partiti, e nel condannare la grave prevaricazione operata dal governo, rilanciamo le nostre iniziative in difesa del pluralismo e della libertà d’informazione col promuovere un incontro pubblico cui invitare i nuovi consiglieri d’amministrazione per conoscerne gli intendimenti e le attese. Il movimento riformatore è in campo e “ricomincia da tre”.