di Fra Pio Maria
A Corleone, a casa nostra c’è un luogo che incuriosisce chi viene per la prima volta. E’ certamente il “castello sottano” o “Eremo san Bernardo”, ex carcere mandamentale e, da ormai più di 40 anni, sede dei Frati Minori Rinnovati per cui fa da casa di noviziato e curia generale.
Tutti i frati vi devono trascorrere almeno un anno (e anche di più) all’inizio della loro formazione religiosa. È un punto di passaggio obbligato, una “porta stretta” per vagliare la vocazione dei novizi. Come curia generale, l’eremo è il centro istituzionale della nostra piccola famiglia religiosa: i Frati Minori Rinnovati, fondati nel non troppo lontano 1972 da fra Tommaso di Gesù e altri 5 confratelli. Ogni 4 anni i frati capitolari provenienti dalle 8 fraternità sparse nel mondo si riuniscono a Corleone per il Capitolo generale e, una volta ancora, il “castello” o “roccione” diventa il punto di ritrovo obbligato per i frati italiani, colombiani e tanzaniani. L’eremo è posto sotto la protezione di san Bernardo da Corleone, santo cappuccino nato a Corleone. Lui, la migliore spada di Sicilia, si convertì al Signore in seguito ad un duello da cui era uscito vittorioso, ma si rese conto che una tale vittoria a spese della carità era in realtà una sconfitta. Ebbene questo capovolgimento dei valori mondani esprime bene la vita dei frati del castello.
Chi sono e cosa fanno i frati del castello? Si può esprimere ciò che siamo con una battuta: “In carcere ma liberi”.
Infatti, la sede della nostra comunità francescana è un ex-carcere: il coro in cui preghiamo era un tempo la cella delle recluse, la biblioteca era una delle celle per i reclusi e due frati abitano nelle antiche celle di rigore, con tanto di porte in legno massiccio, sbarre e inferriate. Eppure, pur vivendo in questo carcere, siamo liberi. Non solo perché ne usciamo ogni giorno per svolgere i servizi a cui Dio ci chiama, ma anche per quella libertà che solo Dio sa donare a chi accoglie la Verità cioè Gesù. La libertà di movimento – il potere andare dovunque – è ben poca cosa senza la libertà interiore: “Uno è schiavo di ciò che lo ha vinto” (2 Pt 2,19) dice la Scrittura. Pensiamo che questo sia una piccola testimonianza da offrire al nostro paese. Sei libero non perché vai di qua e di là, ma perché non permetti che il male, la corruzione spirituale ti seduca e ti vinca.
Certamente la nostra vocazione ha anche un altro aspetto qualificante: la scelta di una povertà radicale. Il carcere in cui viviamo è del comune di Corleone che ce lo concede in comodato d’uso. Ma non abbiamo e non vogliamo vantare alcun diritto su di esso.
Come ce lo chiede san Francesco nel suo Testamento, in ogni momento vogliamo essere liberi di andare altrove a fare penitenza qualora ci fosse chiesto di lasciare “il roccione”. Non abbiamo entrate fisse, rendite… ma “abbiamo” Dio e questo ci basta. Questa nostra forma di vita – che non ha nulla di eroico perché è quello che Gesù chiede nel vangelo ad alcuni – è anch’essa una domanda non verbale posta a chi ci incontra. Non c’è bisogno di essere un grande filosofo per capire che l’amore al denaro, la cupidigia, l’avidità dei primi posti è la fonte di tutti i mali del mondo in cui viviamo: Mammona è un Dio spietato! Riduce in schiavitù chi lo adora e ne fa dei seminatori d’odio e ingiustizia.
In fondo che cosa vi era nel cuore dei “grandi padrini” di Corleone se non l’adorazione del dio denaro e del dio potere? Credo che non a caso l’allora Arcivescovo di Monreale – sotto la cui protezione si erano posti i primi 6 “rinnovati” – li mandò a Corleone.
Infine penso che sia bene fare accenno ad un altro aspetto tipico della nostra testimonianza nel paese di Corleone. Il “roccione” è appunto un eremo, cioè un luogo dove ci si ritira per pregare. Per venire al castello bisogna farsi una piccola salita che termina con una bella scalinata all’antica… e così si arriva un po’ con il fiatone!
Coloro che vivono sotto il convento sentono ogni notte il tocco della campana che ci richiama per la preghiera notturna: mentre tutti dormono (o qualcuno va a letto), i “fraticelli” si svegliano per un’ora di preghiere notturna. Ma a che serve interrompere il sonno si chiederà qualcuno? Perché vi ritrovate 7 volte al giorno in cappella? Semplicemente per dire al mondo che se non è il Signore a costruire la casa o a vegliare sulla città, invano faticano i costruttori e invano vegliano le sentinelle. E quando l’uomo si dimentica di Dio, qualcun altro prenderà ben presto il suo posto! Historia docet…
Certamente in paese vi è tanta religiosità, un attaccamento alle tradizioni religiosi come lo sono – per esempio – i riti della Settimana santa che attirano numerosi (turisti?). La nostra preghiera sul “roccione”, nel segreto come lo chiede il santo vangelo, è anche un modo discreto di dire che l’ostentazione è sempre dietro l’angolo, anche nelle manifestazioni di pietà popolare e che dietro vuol parlare al cuore nel silenzio, nella solitudine.