«Luigi Di Maio è un grandissimo politico». Sembrano lontanissimi i tempi in cui Beppe Grillo (quasi 70 anni) lodava il suo giovane pupillo Di Maio (quasi 32 anni), eppure era solo quattro mesi fa, subito dopo la trionfale vittoria del M5S nelle elezioni politiche del 4 marzo con il 32% dei voti.
Per molto tempo Grillo ha taciuto, è tornato al mestiere di comico. Si è allontanato dalla politica per tornare a calcare i palcoscenici dei teatri italiani. Poi, da qualche giorno, il garante dei cinquestelle è tornato ad intervenire, suggerendo e dettando in modo surreale le scelte da adottare al governo Conte-Di Maio-Salvini. Dal suo blog su internet, non più del M5S, ha indicato “il sorteggio” per realizzare la riforma elettorale: «Il primo passo sarebbe una seconda camera nel nostro parlamento, piena di persone scelte a caso, un senato dei cittadini, se volete».
Con una mossa ha assestato due colpi: 1) in un attimo ha buttato a mare la regola delle elezioni primarie online su internet tra gli iscritti pentastellati; 2) ha tirato un calcio al «più grande inganno della Politica: farci credere che servano i politici». Uno strano dietrofront. Ha mandato al macero le elezioni primarie online tra gli iscritti pentastellati decantate per anni come un grande strumento di «democrazia diretta della Rete» e per rinnovare con forze nuove e giovani la politica italiana. Proprio con le elezioni online tra gli iscritti al M5S Di Maio è stato eletto capo politico del movimento al posto di Grillo e sempre con questo strumento sono stati scelti i candidati cinquestelle da eleggere in Parlamento.
Dopo la revisione della legge elettorale basata sul sorteggio, è arrivata l’altra sorpresa: la riforma della Rai. Dalla finestra della sua stanza all’Hotel Forum di Roma, senza farsi vedere, ha annunciato ai giornalisti la privatizzazione di gran parte delle reti televisive pubbliche: «Rai Tre, Rai Due e Rai Uno: due saranno messe sul mercato e una senza pubblicità». Sempre con un linguaggio tra il paradossale e il surreale non ha voluto aggiungere altro: «Questo dice l’Elevato e accontentatevi di questo». Forse non è estraneo l’appuntamento per rinnovare il direttore generale, il presidente e il consiglio di amministrazione della Rai.
Ora, c’è il piccolo particolare, che Grillo non fa parte del governo presieduto da Giuseppe Conte. C’è anche un altro piccolo particolare: nel “contratto di governo” elaborato da M5S e Lega non c’è la minima traccia della proposta di eleggere per sorteggio il Senato e di privatizzare gran parte della Rai. Già nelle scorse settimane era emerso un caso analogo. Grillo aveva ipotizzato la chiusura dell’Ilva di Taranto, la più grande acciaieria d’Europa sotto botta per problemi d’inquinamento industriale. Di Maio era intervenuto per stopparlo. Il vice presidente del Consiglio, ministro dello Sviluppo e del Lavoro, capo del M5S si era messo di traverso: sono «opinioni personali».
Grillo non deve averla presa bene. Ora è tornato alla carica con due nuove proposte provocatorie e dirompenti: hanno il carattere di un commissariamento di Di Maio. Grillo non è nel governo, però conta. È il fondatore e garante del M5S e le sue sortite pesano sull’esecutivo e condizionano Di Maio, già in affanno per la concorrenza spietata praticata da Matteo Salvini.
Il segretario della Lega, vice presidente del Consiglio e ministro dell’Interno marcia fortissimo con le sue campagne contro l’immigrazione illegale: secondo alcuni sondaggi il Carroccio sarebbe addirittura salito dal 17% al 31% dei voti mentre il M5S sarebbe sceso al 29%. Sarà un caso ma il carismatico Grillo recentemente ha lodato proprio Salvini perché è «uno che sta facendo le cose, per davvero».