La voce della Bassa, la memoria del Grande fiume e delle sue storie dal sapore antico cui, in fondo, doveva tutto, un bastian contrario mai visto e un sognatore indomito: quanto sono lunghi cinquant’anni senza Giovannino Guareschi! Era il 22 luglio 1968 quando, a soli sessant’anni, uno dei più importanti scrittori del Ventesimo secolo ci disse addio, senza che nessuna autorità civile partecipasse ai suoi funerali, senza che qualcuno ne avesse pietà, senza che la politica italiana si fermasse per un solo istante di fronte alla scomparsa di uno dei suoi più accaniti ma sinceri fustigatori. C’era il solo Enzo Biagi accanto alla famiglia, lui che gli era stato vicino anche nei giorni tragici del carcere, quando dovette scontare tredici mesi di prigione per aver diffamato il presidente del Consiglio, De Gasperi, accusandolo di aver chiesto agli Alleati di bombardare Roma per indurre la popolazione a insorgere contro il nazi-fascismo. Non era vero e Guareschi pagò un prezzo altissimo, finanche eccessivo, per il suo errore. Affrontò l’onta della galera con rara dignità ma ne uscì distrutto: un’esperienza devastante che lo segnò nel profondo.
Ciò non toglie nulla, tuttavia, alla grandezza dell’inventore di don Camillo e Peppone e di quelle straordinarie storie di un mondo che non c’è più ma che ancora ci fa battere il cuore: per la sua pulizia, la sua ingenuità, i suoi sentimenti burberi ma veri, così lontani dalla falsità contemporanea, così anacronistici, apparentemente assurdi eppure incredibilmente attuali per quanto ne avremmo bisogno.
Cinquant’anni senza Guareschi e la sua follia ci ricordano che molte pagine della nostra vita si sono chiuse per sempre e che un intero secolo è ormai alle spalle, con il suo carico di drammi, aberrazioni e meraviglie. Eppure noi ancora li vorremmo veder correre Fernandel e Gino Cervi, mentre si inseguono lungo la strada e si fermano ad aspettarsi reciprocamente, con don Camillo che pedala a destra e il comunista Peppone a sinistra: i due volti della stessa persona, le due facce della medaglia di un conservatore le cui simpatie, al pari di Montanelli, secondo me andavano agli anarchici.
Giovannino Guareschi non è mai appartenuto a nessuno se non ai suoi lettori, ha rischiato la vita quando è stato fatto prigioniero dai tedeschi e non ha mai ricevuto nemmeno un grazie. Gli hanno voluto bene solamente i pochi spiriti liberi presenti nel nostro Paese. Molti lo hanno angariato da vivo e dimenticato quando finalmente, dal loro punto di vista, si è tolto dalle scatole.
E il Grande fiume porta ancora storie e la vita scorre e il tempo se ne va e l’Emilia cambia volto, la Bassa si perde a vista d’occhio e anche le amministrazioni comunali sono ormai irriconoscibili. Ma, soprattutto, un intero universo si ritrova afono, in quanto non c’è più nessuno in grado di dargli voce e di restituirgli i propri contorni e il proprio realismo magico.
Dipingevi con trecento parole, poi il silenzio. Ciao Giovannino, un solitario grazie.
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