Con queste parole Canan Coskun, redattrice del quotidiano di opposizione Cumhuriyet, ha accolto il verdetto emesso ieri da un tribunale di Istanbul. La Corte ha condannato la cronista di giudiziaria dello storico giornale turco a due anni e tre mesi di prigione, il procuratore ne aveva chiesti 23, con l’accusa di aver “insultato pubblici ufficiali nello svolgimento delle loro mansioni”.
I giudici hanno inoltre ritenuto l’imputata responsabile di aver divulgato i dettagli di un’indagine in corso.
La Coskun era stata già coinvolta in altre inchieste e aveva trascorso alcuni mesi in carcere.
I guai per la giornalista di Cumhuriyet sono iniziati dopo aver documentato e raccontato in un’inchiesta giornalistica lo scandalo che aveva coinvolto alcuni importanti pubblici ufficiali turchi favoriti da un’operazione immobiliare che gli aveva permesso di acquistare abitazioni a prezzi ribassati da una società pubblica.
Tra le più apprezzate giornaliste investigative del Paese, Canan aveva riportato dichiarazioni secondo cui una lotteria per selezionare acquirenti per un progetto edilizio nel quartiere di Basaksehir (Istanbul) era truccata, e aveva favorito giudici e procuratori vicini al Partito per la giustizia e lo sviluppo, attualmente al potere in Turchia.
Quella di ieri è solo l’ultima di una lunga serie di sentenze nei confronti di operatori dell’informazione che evidenziano le crescenti difficoltà per la libertà di stampa in Turchia.
Secondo il gruppo per la libertà di stampa, P24, sono 178 i giornalisti attualmente detenuti in Turchia, la maggior parte dei quali incarcerati sotto lo stato d’emergenza. Come Zehra Dogan, collega ma anche artista turco-curda in carcere dall’arresto il 21 luglio di due anni. Lo scorso marzo il suo volto è stato ritratto in un murale del writer britannico Bansky che ha attirato sul suo caso gli occhi del mondo e Zerha ha voluto ringraziarlo scrivendogli una lettera per ringraziarlo e raccontargli che la sua opera le aveva infuso determinazione e coraggio”.
Nella missiva Zerha parla anche delle sue condizioni di detenzione “in una cella sotterranea che ha una storia di sanguinarie torture”. Aggiunge che “questa lettera è illegale perché sono soggetta a un bando delle comunicazioni che mi impedisce di scrivere o telefonare. Questo messaggio vi arriverà attraverso una rete clandestina”.
Oggi, a due anni dal suo arresto il board internazionale della campagna “Free Turkey media”, si cui fa parte anche Articolo 21, animerà un tweet storm per chiedere la sua liberazione. Servirà il coinvolgimento di tutti noi affinché gli hashtag #FreeZehraDogan e #FreeTurkeyMedia possano diventare tendenza e richiamare l’attenzione sul caso di questa forte e coraggiosa collega che non possiamo, dobbiamo, lasciare sola.