Giampiero Boniperti: basta pronunciare il nome, non servono aggettivi o frasi altisonanti per definirlo, anche perché il soggetto in questione non gradirebbe. Compie novant’anni un uomo schivo, riservato, tutto d’un pezzo, intriso di quella regale sobrietà piemontese che lo ha reso un alfiere dello stile Juve, simbolo e protagonista di alcune fra le stagioni piu esaltanti della storia del club.
Boniperti il bambino di Barengo, in provincia di Novara, Boniperti il campione in erba, “settimino”, come lo definì nel ’46 il neonato Tuttosport per mettere in evidenza i sette gol che aveva realizzato durante una delle sue prime apparizioni in bianconero, Boniperti che esordì in Serie A il 2 marzo del ’47, contro il Milan, Boniperti che appese le scarpe al chiodo nel giugno del ’61, Boniperti il presidente degli anni Settanta Ottanta e poi il silenzio, il distacco, la sofferenza e una passione che ha preferito continuare a vivere in privato, lontano dai riflettori.
Perché il Sire di Barengo con la Diade che ha condotto la Juve nell’abisso della B non c’entrava nulla e ci ha sempre tenuto, al pari dell’Avvocato, a marcare le distanze. Lasciamo da parte il povero Bettega, se non altro per ragioni affettive, essendo stato uno degli alfieri di alcune tra le più forti e vincenti Juve bonipertiane che si ricordino.
Boniperti con questi nuovi ricchi, con quest’arrembante razza padrona, con la nouvelle vague degli eccessi e delle comparsate televisive non c’entrava e non c’entra nulla: da qui i suoi colpi di tosse studiati con cura, il suo maestoso silenzio, il suo tenersi in disparte ad osservare, con la puntuale lucidità di chi è in grado di parlare anche senza dire nulla.
Giampiero Boniperti ha forgiato e incarnato lo stile Juve, lo stesso che oggi caratterizza le scelte di Marotta e Paratici, lo stesso che ha fatto sì che i suoi campioni più emblematici fossero Zoff e Scirea: altri due che hanno sempre parlato poco e agito molto, vincendo sul campo tutto ciò che c’era da vincere e accettando le sconfitte con innata signorilità.
Boniperti ha significato la Juve nella sua accezione più nobile, al punto che i due termini sono quasi sinonimi, e non c’è alcuna arroganza in quel suo sostenere che vincere sia l’unica cosa che conta; al contrario, applicata al calcio, è un’espressione che denota il profondissimo rispetto che egli ha sempre nutrito nei confronti degli avversari.
Boniperti soffrì quanto e più dei granata quando vide infrangersi a Superga il mito del Grande Torino e crediamo che quella ferita nel suo cuore non si sia mai rimarginata, così come non ha mai nascosto la sua ammirazione per Valentino Mazzola e per gli altri alfieri di quella storia che profumava d’erba, d’orgoglio, della dirompente speranza di un Paese distrutto dalla guerra di tornare a vivere.
E poi i duelli con le milanesi, quelli con il Napoli, la Roma e la Fiorentina, la sua leggendaria austerità al momento di rinnovare i contratti e il suo defilarsi quando capì che il proprio tempo era finito e che non si sarebbe mai potuto integrare con persone che non avevano rispetto per una storia e uno stile che lui, invece, ha sempre considerato importanti quanto i titoli in bacheca, anzi propedeutici ad essi.
Giampiero Boniperti, il cui primo pensiero è andato alla Juve e ai suoi futuri successi, dimostrando di possedere un cuore a strisce bianconere e di essere ancora in grado di suscitare emozioni straordinarie, oltre che di emozionarsi a sua volta.
Perché non è vero che sia arido, tutt’altro: è che è un uomo d’altri tempi, abituato a riflettere sugli errori anche dopo aver alzato un trofeo, soprattutto dopo aver alzato un trofeo.
Da Combi, Rosetta e Caligaris al suo amico Muccinelli, senza dimenticare Charles e Sivori, Heriberto Herrera e le sue magnifiche creature del ventennio in cui la Juve ha vinto tutto ciò che c’era da vincere. Non sappiamo cosa ne pensi del possibile arrivo di Cristiano Ronaldo: certo, è quanto di più diverso possa esistere da lui, ma secondo me prova ammirazione. Perché Boniperti ama tutto ciò che è cultura, classe, eleganza, talento, meraviglia e non c’è dubbio che il portoghese abbia inscritto nel DNA quello stile Juve che per il presidente era e rimane indispensabile per indossare i suoi amati colori.
Uno sbuffo di sigaretta, uno sguardo penetrante, poche parole pronunciate sottovoce e l’accenno di un sorriso: la grandezza di un antidivo. Buon compleanno, Presidente!
P.S. Compie cinquant’anni Azzurro di Paolo Conte e Vito Pallavicini, portata al successo da Celentano, e ottanta Superman: altri miti immortali, indimenticabili.
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