No al ritorno dei voucher. Riserve di Cisl e Uil. Confindustria si preoccupa per i posti di lavoro. Di Maio: un comizietto da quattro soldi
Di Alessandro Cardulli
Era largamente prevedibile che un decreto come quello che leghisti e pentastellati hanno pomposamente accompagnato con la parola “dignità” non reggesse l’urto del confronto in corso nelle Commissioni Lavoro e Finanze della Camera con Cgil, Cisl, Uil e, per altro verso, con Confindustria, Rete imprese Italia, Assolavoro, l’Inps. La direttrice generale della organizzazione degli imprenditori, Marcella Panucci, ha puntato il dito contro il ritorno alle causali, obbligatorio dopo il primo rinnovo del contratto a termine, che provocano “effetti negativi sulla occupazione” andando “oltre quelli stimati nella Relazione tecnica al decreto, 8 mila lavoratori in meno ogni anno, per dieci anni”. Previsione dell’Inps che ha portato ad un durissimo attacco da parte del governo, nelle persone di Salvini e Di Maio in particolare, nei confronti del presidente dell’Inps, Boeri che riferirà alla Commissione parlamentare. Il decreto dovrebbe andare in Aula martedì 24.
La fragilità dell’impianto complessivo del provvedimento all’esame della Camera
C’è un problema di fondo che rende fragile l’impianto complessivo del decreto, annulla, di fatto, anche misure che, come ha detto Susanna Camusso, segretario generale della Cgil, possono essere ritenute “positive”, come alcune relative al lavoro determinato, ma “se non sostenute da un organico disegno di contrasto alla precarietà rischiano di spostare il peso della precarietà su forme ancora meno tutelate ed ampiamente abusate”. Nettissima la contrarietà verso l’ipotesi, più volte annunciata, di un intervento di ripristino dei voucher nei settori dell’agricoltura e del turismo. A questo proposito Camusso aveva ricordato che i parlamentari di Cinque stelle, quando aveva loro illustrato i referendum che la Cgil aveva presentato a questo proposito, “ci dissero di essere d’accordo con noi”. Ora ha confermato che su questo problema la Cgil è pronta a mobilitarsi. “Il voucher”, ribadisce il segretario generale della Cgil, “è l’esatto contrario del lavoro garantito, perché prevede solo la paga, ma non tutte le altre tutele contrattuali. Il lavoro stagionale è già regolato in molti contratti, tra cui agricoltura e turismo: puoi fare contratti a termine di una giornata, ad esempio. Esiste il contratto a chiamata. Per la vendemmia puoi già assumere studenti, pensionati e disoccupati con i voucher, che hanno precisi limiti di applicazione”.
Camusso. Mancanza di coraggio nel ridisegnare le regole del mercato del lavoro
Nel documento consegnato da Camusso alla Commissione la Cgil parla di “mancanza di coraggio nell’affrontare un profondo ridisegno delle regole del mercato del lavoro”. Occorre evitare che le grandi trasformazioni nei modelli di organizzazione della produzione siano affrontate esclusivamente attraverso la riduzione dei costi e l’estrema flessibilizzazione del lavoro”. Sarebbe utile “un ragionamento maggiormente sistemico”. Un’impostazione che per quanto riguarda l’esternalizzazione della manodopera dovrebbe affermare “il principio della parità di trattamento dei lavoratori a partire dal primordiale committente”, evitando che le scelte siano determinate esclusivamente “dalla logica di abbassamento del costo del lavoro” invece di rispondere a “logiche di efficientamento e di specializzazione dell’organizzazione del lavoro”. La Cgil afferma che è “poco coraggioso” anche l’intervento sui licenziamenti ingiustificati, che “riprende una vecchia proposta di innalzamento delle indennità” senza però “prendere provvedimenti né sul ripristino della reintegra, né sull’impianto più generale delle norme contenute nel decreto sulle tutele crescenti”. Per quanto riguarda la norma sulle delocalizzazioni, il sindacato la definisce “un primo tentativo per arginare un fenomeno negativo per l’economia e l’occupazione in Italia”, che però ha il limite di “non essere una risposta compiuta e forte e, nel contempo affronti, attraverso il ridisegno degli ammortizzatori, le ricadute sociali che tali comportamenti di impresa determinano negativamente sui lavoratori e sull’occupazione”. Resta aperto un grande problema sociale che il decreto non affronta. Il contrasto ai processi di delocalizzazione che “danneggiano l’economia e l’occupazione nazionale”, deve essere accompagnato da “un intervento di carattere sociale” quando i comportamenti d’impresa “si scaricano comunque negativamente sui lavoratori e sull’occupazione”. Netto il giudizio negativo sul pacchetto relativo alle misure fiscali che, dice la Cgil, va “esattamente nel segno opposto rispetto alla politica fiscale che deve fare della lotta all’evasione e all’elusione uno dei principali filoni di intervento”. La Cgil ritiene “condivisibile la norma che introduce misure di contrasto alla ludopatia”. “Il governo – conclude Camusso – deve ambire a una proposta più forte per rimettere al centro il lavoro e la sua dignità”, attraverso “investimenti volti a creare occupazione; sostegno agli ammortizzatori sociali; rilancio e potenziamento delle politiche attive del lavoro”.
Cisl: con i voucher non si riduce la precarietà. Uil: troppe finestre aperte
La Cisl nel documento consegnato alla Commissione si sofferma in particolare sui voucher. “Non condividiamo l’impostazione di reintrodurre voucher generalizzati per altre attività (agricoltura, edilizia, turismo), che sarebbe peraltro in contraddizione con l’obiettivo dichiarato del decreto di ridurre la precarietà. Manca nel decreto dignità la valorizzazione di strumenti fondamentali per contrastare la precarietà che sono le politiche attive ed il rafforzamento delle politiche passive, prorogando al 2019 le norme che hanno consentito il prolungamento della cigs nelle aree di crisi complesse, perché molte sono ancora le aree e le aziende in difficoltà. La Cisl ritiene altresì che sarebbe necessario aprire un confronto con il Governo per rendere più favorevole sul piano fiscale e contributivo il contratto a tempo indeterminato, prevedendo forti incentivi per quest’ultimo. Infine guardiamo con favore alle norme introdotte sulle delocalizzazioni. La UIL fa notare che insieme alla CGIL fece sciopero contro il Jobs Act – afferma – e ci saremmo attesi una formulazione più coraggiosa. È inaccettabile per i lavoratori assunti dal 2015 l’impossibilità di ricorrere al giudice per la reintegra nel caso di licenziamento ingiustificato. Bene far pagare di più la precarietà, ma – afferma la Uil – occorrerebbe anche dare una spinta e un incentivo alla stabilizzazione vera dei contratti a tempo indeterminato, sempre più un miraggio in una economia che vede sempre più accollare il rischio di impresa alle categorie socialmente più deboli”. La Uil afferma che c’è la sensazione che si restringano le maglie su alcuni aspetti, il contratto a termine “ma si lascino aperte finestre quali gli stage, le partite Iva, lo staff leasing, che andrebbero analizzate e studiate. Pensare di compensare la maggiore rigidità nei contratti a termine, reintroducendo i voucher in agricoltura e nel turismo è una scelta profondamente sbagliata”.
Panucci: evitare per le imprese brusche retromarce sui processi di riforma avviati
Torniamo così a Confindustria che in audizione ha chiesto modifiche ad una disciplina, quella sui contratti a termine, “potenzialmente pregiudizievole” per il mercato del lavoro. Il decreto dignità – ha affermato Panucci – “pur perseguendo obiettivi condivisibili” rende “più incerto e imprevedibile il quadro delle regole” per le imprese “disincentivando gli investimenti e limitando la crescita”. Per le imprese occorre “evitare brusche retromarce sui processi di riforma avviati” e vanno approvati “alcuni correttivi”, che intervengano sulle causali per i contratti a termine e sulle norme ora “punitive e poco chiare” sulle delocalizzazioni. Ha poi presentato un quadro dettagliato di proposte che riporta al punto di partenza, la cancellazione delle causali “almeno fino a 24 mesi”, che sono “il punto più critico, aumentano il contenzioso e non sono una vera tutela per il lavoratore” e di “chiarire la natura non incrementale dell’aumento di 0,5 punti percentuali del contributo addizionale per ciascun rinnovo del contratto a tempo determinato, evitando così un incremento , a suo parere irragionevole e sproporzionato dei costi a carico dei datori di lavoro”. Panucci ha poi sottolineato che anche che il raddoppio dell’indennità in caso di licenziamenti illegittimi “rischia di scoraggiare le assunzioni a tempo indeterminato” oltre a “non trovare riscontro sul piano comparato” visto che quello minimo (4 mesi) “è quadruplo rispetto a quello di Francia, Germania e Spagna; mentre l’indennizzo massimo (24 mesi) è superiore a quelli di Francia (20 mesi) e Germania (18 mesi)”. Per quanto riguarda le misure sulle delocalizzazioni Panucci avverte “il rischio è di ‘overshooting’, cioè di esagerare nella sanzione”. Per quanto riguarda la ludopatia Confindustria ritiene il divieto assoluto della pubblicità eccessivo.
Il vicepremier e ministro farfuglia. Una difesa del decreto dal sapore salviniano
Arriva la replica del ministro e vicepremier Di Maio. Farfuglia, mostra di non avere molta dimestichezza con i problemi economici. Solo proclami. “Confindustria oggi dice che con il Decreto Dignità ci saranno meno posti di lavoro. Sono gli stessi che gridavano alla catastrofe se avesse vinto il no al Referendum, poi sappiamo come è finita”. Davvero pietosa questa difesa, dal sapore salviniano. “Sappiamo come finirà anche in questo caso”, scrive il ministro del Lavoro e dello Sviluppo economico, Luigi Di Maio, su Facebook. Poi parla di “terrorismo psicologico” e afferma che Il decreto dignità combatte il precariato per “permettere agli italiani, soprattutto ai più giovani, di iniziare a programmare un futuro”. Poi uno slogan fritto e rifritto conclude il post del ministro: “siamo dalla parte dei cittadini, e non faremo nessun passo indietro. Stateci vicino!”. Molto salviniano, se il Di Maio ci permette di dirlo. Magari nel post poteva provare a dare una risposta ai sindacati, alla Cgil. Forse non è in grado. Meglio prendersela con il presidente dell’Inps, Tito Boeri, facendogli capire che è tempo di sloggiare, magari in modo più urbano di quanto non faccia il suo collega Salvini. Il presidente dell’Inps, in effetti, è un bersaglio facile, non desta simpatie. Ma il disprezzo, in modo più o meno velato, per le istituzioni, gli enti dello Stato, la voglia di occupare, quasi manu militari, tutti gli spazi pubblici, rende i due simili, omologhi. Il segno di un imbarbarimento sul quale una riflessione e una iniziativa politica da parte delle forze democratiche è sempre più urgente. Prima che sia troppo tardi.