Migranti dell’enclave spagnola di Ceuta: sono ragazzi che provengono da nazioni come l’Eritrea, la Somalia o il Gambia, dove sono in corso gravissimi conflitti. Vi sono giovani che fuggono per non essere massacrati dagli integralisti jihadisti, altri che hanno già subito detenzioni arbitrarie e torture, altri ancora sottoposti ad arruolamento forzato in milizie in cui l’essere umano diventa carne da macello. È per questo che fuggono e sono terrorizzati all’idea del rimpatrio. Alcuni si sono difesi con calce e pezzi di cemento dal tentativo di deportazione, altri hanno impugnato pali recuperati dalla recinzione. Disperazione, non aggressione. Estrema ribellione al tentativo da parte delle autorità di riportarli alle torture, ai pestaggi, alle bande armate, spesso alla morte. Di fronte alle scene di repressione e di rivolta (una rivolta che possiamo stigmatizzare, ma che è in ogni caso riconosciuta come legittima dalla Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, come disperato ultimo mezzo di sopravvivenza), lo stesso primo ministro spagnolo Pedro Sánchez ha riconosciuto che la barriera alta sette metri e munita di filo spinato costituisce una violazione del diritto dei perseguitati a cercare rifugio in un altro paese e ha deciso di rimuoverla.
Chi si domanda come mai i migranti subsahariani fuggiti da crisi umanitarie non restino in Marocco, deve sapere che lo status di rifugiato in Marocco, così come il documento di domanda di asilo trasmesso all’UNHCR, non sono rispettati dalle autorità marocchine e il richiedente asilo è soggetto a detenzione e deportazione. Lo status non consente di avere il permesso di residenza o aiuti finanziari, non dà la possibilità di lavorare, non dà l’accesso alla sanità, né alla scolarizzazione per i minori. Le autorità del Marocco non permettono al personale delle Nazioni Unite un’opera efficace di accoglienza, neanche temporanea. Il razzismo è una realtà drammatica, nella nazione nordafricana e i migranti dall’Africa Subsahariana sono oggetto di discriminazione e ostilità manifesta. Si è costretti a chiedere il trasferimento in altri paesi perché non esistono politiche di accoglienza, attualmente, in Marocco.
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