Caro Ronaldo,
ora che sei ufficialmente uno di noi, permettimi di darti un consiglio. Vatti a leggere la formazione che Deschamps, oggi finalista ai Mondiali con la Francia, schierò il 9 settembre 2006 al debutto della Juve in Serie B contro il Rimini: Buffon, Birindelli, Kovač, Boumsong, Chiellini, Marchionni, Paro, Giannichedda, Nedvěd, Del Piero e Zalayeta. Nella ripresa sarebbero entrati Bojinov, Camoranesi e Palladino. In panchina sarebbero rimasti Mirante, Balzaretti, Marchisio e Guzmán.
La Juve in cui giocherai tu, nella formazione tipo, sarà invece la seguente: Szczesny, Cancelo, Benatia (o, se dovesse partire, Godin), Chiellini, Alex Sandro (o, se dovesse partire, uno fra Darmian e Bernat o addirittura Marcelo, oltre all’infortunato Spinazzola), Matuidi, Pjanić, Emre Can, Dybala, Cristiano Ronaldo, Douglas Costa. E in panchina ci saranno i vari Perin, Marchisio, Barzagli, Mandžukić, Bernardeschi, Bentancur, forse Rugani o, se dovesse andare al Chelsea, De Ligt. Insomma, caro Cristiano, giocherai in una delle squadre più forti del mondo, per nulla inferiore rispetto al magno Real da cui provieni.
Caro Cristiano, proprio perché conosco la tua umiltà, la tua dedizione al lavoro e il tuo senso di appartenenza a qualunque squadra abbia avuto l’onore di schierarti tra le sue fila, permettimi di rivolgerti un altro piccolo consiglio: un giorno, in incognito, vatti a fare una passeggiata sul lungomare di Rimini e, magari, vatti a vedere una partita sugli spalti del Romeo Neri. Solo allora potrai capire davvero perché sei arrivato alla Juve, da dove parta la nostra rincorsa e quanti sacrifici abbiamo dovuto compiere per arrivare a te, dopo che cinque campioni del mondo e un pallone d’oro erano stati retrocessi in B per colpa di una malaugurata gestione del nostro club e di una giustizia sportiva che, anziché i veri responsabili di determinate malefatte, ha deciso che a pagare dovessimo essere soprattutto noi tifosi.
E qui lascia che ti racconti come sono diventato juventino. La Juve mi è sempre piaciuta, diciamo che l’ho sempre considerata un patrimonio del calcio mondiale e che mi ha sempre affascinato per la sua storia, il suo stile e i suoi campioni. Tuttavia, la mia passione si è trasformata in tifo proprio nel momento in cui ho assistito all’ingiustizia di un Milan lasciato addirittura in Champions League e di una Juve retrocessa in B, pur essendo la più squadra forte e pur avendo dimostrato, con otto uomini presenti nella finale di Berlino vinta dagli Azzurri, che i suoi successi non erano certo dovuti alle telefonate improprie di Moggi o ai comportamenti di Giraudo.
Caro Cristiano, ho scelto la Juve quando tifare per lei significava assistere a partite surreali con il Crotone e il Frosinone; eppure, proprio in quella stagione ho compreso quanto fosse grande l’amore degli italiani per questi colori, con la passione genuina di milioni di persone che attendevano spasmodicamente l’arrivo di fuoriclasse che, fino a quel momento, avevano visto al massimo in televisione. E fui d’accordo con Del Piero quando asserì che la finale di Cardiff valesse dieci anni di Juve. Te la ricordi, Cristiano, quella partita in cui giocasti da Dio, segnando una doppietta e conducendo il Real al trionfo, oltre ad assicurarti il tuo quinto, strameritato pallone d’oro? All’epoca ci rimasi malissimo, così come ci rimasi malissimo quando, con una rovesciata da antologia e un’altra doppietta, ci hai di fatto estromesso dalla corsa alla Champions, regalando al Real la sua tredicesima coppa dalle grandi orecchie.
Caro Cristiano, te lo confesso con la massima onestà intellettuale: un tempo ero un messiano convinto, animato dall’idea che tu fossi sì un grande campione ma nettamente inferiore rispetto all’asso del Barcellona. Poi, però, è arrivata una notte, una notte per te tragica e meravigliosa al tempo stesso: domenica 10 luglio 2016, giorno della finale degli Europei tra la Francia padrona di casa e il tuo Portogallo. Ricordo ancora il tuo infortunio alla metà del primo tempo, le tue lacrime, lo scoramento dei portoghesi sugli spalti e il terrore dei tuoi compagni di squadra, ben coscienti che senza di te sarebbe stata tutta un’altra storia, soprattutto se si considera che i transalpini erano già allora nettamente più forti. Invece lì è accaduto il miracolo: infortunato a bordo campo, hai incitato i tuoi compagni, li hai guidati, esortati a non mollare, ti sei comportato da capitano e da allenatore al tempo stesso e, infine, hai potuto esultare come forse mai ti era capitato nella vita. Ricordo ancora, infatti, la straziante notte del Da Luz di Lisbona, quando il tuo Portogallo venne sconfitto per 1 a 0 dalla Grecia. Era il 2004, avevi diciannove anni ma eri già pienamente consapevole delle tue potenzialità. Ebbene, dodici anni dopo, in casa altrui, le malinconiche note del Fado si sono trasformate nella più dolce delle colonne sonore, mentre alzavi al cielo la coppa dell’Europeo, la prima nella storia dei rossoverdi, riuscendo là dove neanche il monumentale Eusebio era riuscito.
Caro Cristiano, quella notte a Parigi sei diventato un uomo, sei migliorato come persona e il mondo intero se ne è reso conto. Poi ha provveduto proprio un francese, Zizou Zidane, a completarti, facendoti capire la necessità di dosare le forze e di essere protagonista nei momenti che contano davvero e rendendoti letale come mai lo eri stato nel corso di una carriera già straordinaria.
Due tecnici ti hanno dato tutto e insegnato ad essere come sei attualmente: Carletto Ancelotti e il già menzionato Zizou, i quali hanno in comune proprio un’antica militanza juventina.
Caro Cristiano, ho sempre pensato che nulla nella vita avvenga per caso e che non sia certo un caso che lo Stadium ti abbia applaudito dopo quella rovesciata da fantascienza, come non è un caso che l’intera città di Torino, solitamente sobria e misurata, si sia lasciata travolgere da una passione senza limiti per te e che tu abbia scelto proprio i colori bianconeri per vivere la tua ultima esperienza ai livelli che ti competono. E non è detto che un giorno non ritrovi pure Zidane, dopo aver lavorato al meglio con un altro tecnico, Allegri, che avrà molto da insegnarti e molto da imparare dalla tua esperienza in ambito internazionale, al punto che vi migliorerete a vicenda.
Caro Cristiano, se oggi tu sei uno di noi, è soprattutto grazie a quel pomeriggio di Rimini, quando giocatori che in molti casi nessuno ricorderà (al pari del povero Éder, autore del gol decisivo nel secondo tempo supplementare della finale di Parigi) si rimboccarono le manicne, determinati a riportare la Juve dove merita di stare. Gli unici che hanno una memoria diretta di quel pomeriggio sono Chiellini e Marchisio: non possederanno mai la tua classe, ma possiedono il tuo stesso DNA, la tua stessa umiltà e la tua stessa voglia di vincere e di spingersi sempre oltre i propri limiti.
Se oggi è possibile sognare ad occhi aperti, compresa la finale di Champions che, guarda i casi della vita, si disputerà il prossimo 1° giugno a Madrid, nello stadio dell’Atletico, è soprattutto grazie al Purgatorio che abbiamo vissuto in quei giorni che ormai sembrano lontani un secolo. Invece era appena dodici anni fa e la ferita brucia ancora, col suo carico di polemiche e ingiustizia.
Tutto ciò che è accaduto dopo è stato merito di quella tenacia, di quella caparbietà, di quella grinta e di quello stile Juve di cui tu stesso sei la perfetta incarnazione. E ora sarà meraviglioso camminare e vincere insieme. Benvenuto CR7!
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