Piaccia o meno, e a me spesso non è piaciuto e non piace, Beppe Grillo è un personaggio rivoluzionario. E ora che compie settant’anni, è giunto il momento di tracciare un bilancio della sua vita.
Comico di vaglia, reso noto dalla televisione e poi ripudiato dalla medesima per la sua feroce satira nei confronti dei socialisti, dapprima denigratore, poi esploratore, infine guru del web, con una propaganda ai limiti dell’assurdo, uomo intriso di contraddizioni, abile ai limiti del genio nel nutrirsi di esse fino a farne la propria forza, Giuseppe Piero Grillo costituisce senz’altro uno dei simboli della stagione che stiamo vivendo. Una stagione triste, folle, malata, una stagione intrisa d’odio e di cattiveria, una stagione che lo stesso Grillo, spiace dirlo, ha contribuito ad alimentare, con i suoi eccessi, le sue sparate e i fiumi di populismo che sono scesi dal suo blog; tuttavia, anche una stagione nella quale una nuova classe dirigente, sulle cui qualità è lecito esprimere più di un dubbio, si è messa in gioco.
Beppe Grillo, al pari di Casaleggio, ha intuito prima e assai meglio di altri il potere delle nuove tecnologie, la loro presa sull’opinione pubblica e la loro capacità di creare nuovi linguaggi e un nuovo immaginario collettivo. E così si è lanciato in un’impresa apparentemente più grande di lui, a suon di vaffa e di proposte apparentemente, e in alcuni casi realmente, assurde, per poi conquistare una centralità impensabile fino a una decina d’anni fa e modificare per sempre, secondo me in peggio, il panorama politico italiano. Il grillismo, infatti, è molto più di un’ideologia: è uno stile di vita, un modo di essere, una concezione del mondo e della vita, un pensiero aggregante e una cultura che ha coinvolto milioni di cittadini, fino al punto di arrivare a rinnegare il proprio passato e ad immergersi in un fiume infernale di eterno presente, in cui ciò che c’era prima corrisponde per forza di cose al male e la storia è spogliata della sua funzione, del suo ruolo sociale e della sua dignità.
Il grillismo altro non è, insomma, che uno dei tanti manifesti del conformismo corrente, apparentemente destinato a cambiare tutto e in realtà destinato a lasciare tutto così com’è, secondo la miglior tradizione del gattopardismo italiano.
I 5 Stelle si sono presentati come i rivoluzionari del Terzo Millennio, né destra né sinistra, nessuna ideologia, il rifiuto del concetto stesso di politica, nessun appellativo che possa minimamente accostarli all’odiata casta, per poi andare al governo di alcune grandi città e oggettivamente deludere. Infine, sono arrivati a Palazzo Chigi per interposto Conte e, pur avendo preso quasi il doppio dei voti, si sono ridotti ad ancelle di Salvini. Il che dimostra, caro Grillo, che la giusta indignazione nei confronti delle storture del sistema, la doverosa condanna delle sue esagerazioni e dei suoi sprechi e il sacrosanto ripudio delle sue ingiustizie non bastano a giustificare la continua sistemazione di fango nel ventilatore, il costante dileggio di ogni avversario e la perenne aggressione all’indirizzo di chiunque la pensi diversamente e non sia disposto ad accettare alcuna forma di pensiero unico.
Lei, caro Grillo, è sicuramente un rivoluzionario, forse persino animato da intenzioni nobili, ma è stato tradito dal suo stesso radicalismo, dal suo stesso rifiuto della politica, dalla sua incapacità di ancorarsi a una base di pensiero leggermente più solida di quattro clic e due trovate mediatiche, senz’altro efficaci ma inadatte a governare la complessità di un paese come l’Italia.
Buon compleanno, ci mancherebbe altro, ma sappia che il suo bilancio, complessivsmente, è fallimentare, come quello di tutti coloro che non sanno accettare i propri limiti e fermarsi un attimo prima di dar vita a un mostro che finisce inesorabilmente col divorare le persone migliori e la sincera passione civile di coloro che, con un pizzico di ingenuità, vi si sono avvicinati.
Iscriviti alla Newsletter di Articolo21