Anna Politkovskaja. Gli scheletri nell’armadio di Putin

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Dopo che tutto il mondo ha celebrato Putin per i suoi ottimi Mondiali, sono arrivate due notizie che riportano in luce alcuni dei principali scheletri nell’armadio della Russia di Putin. Uno di questi è l’omicidio di Anna Politkovskaja, una delle principali giornaliste del paese, assassinata nel centro di Mosca sull’uscio di casa il 7 ottobre del 2007. Con una calma olimpica, la Corte europea dei diritti umani ha condannato la Russia per «per non aver condotto un’inchiesta efficace al fine di identificare i mandanti dell’omicidio». Era stato chiaro fin da subito che la giustizia russa (legata a doppio filo al potere putiniano) aveva cercato solo gli esecutori materiali (un gruppo di ceceni, spalleggiati da poliziotti russi) disinteressandosi di cercare chi aveva assoldato quei killer. Anna (che aveva seguito la carneficina in Cecenia e le sue drammatiche conseguenze) in questi anni è diventata il simbolo della libertà di stampa, nel mondo, prima che in Russia. Solo nei giorni scorsi, di fronte al giornale dove lavorava, l’ottima Novaya Gazeta, è stato infatti aperto un giardino Politkovskaya. Ma Mosca è arrivata ultima, dopo che vie, scuole e parchi sono stati dedicati alla coraggiosa cronista in ogni angolo del globo.
Ora è arrivata anche questa tardiva condanna (con un risarcimento di 20.000 euro per i famigliari) che non aggiunge nulla a quanto, pasolinianamente, già da tempo sapevamo. Ma, in una fase in cui tanti si proclamano amici di Putin, ricordare che la Russia è tuttora un paese pericoloso per giornalisti e dissidenti, non fa assolutamente male.
L’altro scheletro uscito dagli armadi della Corte europea dei diritti umani, riguarda un altro caso che divise l’opinione pubblica e che portò a una folle condanna a due anni di carcere (poi in parte condonati): quello per il mini concerto anti-puntiniano delle Pussy Riot nella Chiesa di Cristo Salvatore a Mosca nel 2012. La dura punizione giudiziaria fu un pegno pagato all’alleanza che da anni vede andare a braccetto l’ex sottufficiale del KGB che guida il paese e la Chiesa Ortodossa russa. Anche in questo caso i giudici di Strasburgo hanno condannato lo Stato russo a un risarcimento di 40 mila euro «per aver violato numerosi diritti umani» nei confronti di Marya Alekhina, Nadezda Tolokonnikova e Ekaterina Samuzevic, soprattutto per i «5 mesi di detenzione preventiva e le restrizioni della libertà in carcere».
Il collettivo delle Pussy Riot si è peraltro fatto sentire in questi giorni, mandando alcune attivisti nello stadio Luzhniki di Mosca, dove si svolgeva la finale, con una pacifica invasione di campo per ricordare come la Russia, spenti i riflettori della Fifa, tornerà a essere un regime liberticida.
Insomma, con il solito ritardo, i nodi del regime putiniano vengono al pettine.
E come sempre, rimane la nostalgia di come la Politkovskaja avrebbe descritto lo show calcistico che ha visto per un mese protagonista il suo paese. Che la terra ti sia sempre lieve, Anna. Qui, anche se Putin ha sempre più fan, non ti abbiamo dimenticata.


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