Si legge tutto d’un fiato. Anche se sai già come va a finire. Anche se conosci l’autrice e la segui quotidianamente su Repubblica e sui social. Anche se sono quasi 400 pagine e la tua giornata comincia sempre prima e finisce sempre dopo. Anche se “A mano disarmata” di Federica Angeli non è proprio quella che potremmo definire narrativa d’evasione.
Ma la verità, come l’amore, è attraente, ti seduce. E ti fa fare cose poco sagge a una certa età, come rubare ulteriori ore al sonno per donarle alla lettura. Una lettura che si fa pagina dopo pagina sempre più avvincente, perché in realtà molte cose non le sapevi, molti retroscena non emergevano dagli articoli o dai post; soprattutto ciò che non veniva fuori fino in fondo era il vero protagonista di questi 1700 giorni vissuti sotto scorta: il coraggio.
Il coraggio di una donna a cui dicono «Sennò me te sparo in testa», indirizzando alla sua tempia una mano a pistola in una stanza senza vie di fuga, e ciò nonostante decide ostinatamente di continuare a fare il suo mestiere di cronista.
Il coraggio di una madre che non solo, come tante, sacrifica prezioso tempo familiare per un lavoro che non ha orari; che non solo si trova costretta suo malgrado a imporre ai suoi figli una vita diversa da quella dei loro coetanei, a non poter stare loro accanto nei momenti più delicati, come quando uno di loro sta male, deve andare al Pronto Soccorso e lei non può accompagnarlo, perché la scorta è già andata via; ma che addirittura deve vivere l’angoscia di sapere che sono in pericolo, sono diventati un bersaglio, ma fino ad un certo punto non sono adeguatamente protetti. Eppure va avanti, perché «non è scappando o smettendo di lottare contro questo clan che garantiamo un futuro ai nostri figli».
Il coraggio di una moglie che accetta di mettere in gioco anche la sua relazione con l’uomo dei suoi sogni, il padre dei suoi figli, «colui senza il quale nulla per me è possibile. L’unico capace di trasformare con un sorriso il dolore in poesia», perché sa che se non andasse fino in fondo non sarebbe più se stessa. E lo sa anche Massimo, @il_maritodiFede (questo il suo nickname su Twitter). Ma non c’è nulla di scontato nella sua fedeltà, perché nessuno avrebbe potuto biasimarlo se ad un certo punto avesse detto basta o se ad un certo punto Federica avesse scelto la famiglia. Dimostra però una verità che don Ciotti ripete fino allo sfinimento: è solo il “noi” che vince. Federica lo sa e non perde occasione per ribadirlo: «Non voglio il tifo, voglio costruire un noi che si muova compatto. Io la mia parte la faccio e la continuo a fare, ma il cittadino deve stare in squadra con me e metterci del suo. Perché ci credo quando si dice che lo Stato siamo noi e non un loro proiettato come la pellicola di un film in cui si combattono buoni e cattivi e i cittadini sono spettatori». E il suo libro è un omaggio e una cronaca di questo noi: ci sono i nomi, i volti, le parole di quelli che le sono stati accanto in questa battaglia, di quelli che l’hanno tradita, di quelli che non hanno avuto abbastanza coraggio e visione, di quelli che hanno tentennato. Un racconto che rende umana questa lotta e fa comprendere ancora di più quanto è grande il coraggio di questa donna. Un racconto non politicamente corretto, dove non si decide col bilancino quanto spazio dare all’uno e all’altro, come fanno certe testate restituendo una rappresentazione fuorviante della realtà, perché non è vero che i politici sono tutti uguali.
Si piange leggendo questo libro. O meglio: io ho pianto.
Per la rabbia nel leggere certe cose e pensare che molte morti non siano servite a nulla e che decenni di lotta alla mafia non abbiano ottenuto che piccole irrilevanti vittorie. Ma alla fine la stessa storia di Ostia, anche quella che segue alle 373 pagine edite da Baldini e Castoldi, ci dice che per fortuna non è così.
Per empatia e umana solidarietà nei confronti di una collega che è madre ed è costretta a una vita durissima, a qualcosa di profondamente ingiusto in un mondo normale.
Una simile esperienza mi era capitata leggendo “Venuto al mondo” di Margaret Mazzantini, che pur essendo un romanzo ti aiuta a provare a metterti nei panni di chi ha vissuto l’assedio di Sarajevo e a immaginare la brutalità che può raggiungere una guerra, e leggendo “Organizzare il coraggio. La nostra vita contro la ‘ndrangheta” di Pino Masciari, testimone di giustizia, e della sua famiglia. Significativa la dedica che Pino mi aveva fatto quando abbiamo presentato il suo libro a Trieste a inizio 2011: «Spesso la verità non gratifica la persona, anzi la fa soffrire. Nella speranza che il cambiamento sia possibile».
È proprio vero, come si comprende leggendo “A mano disarmata”, che la scelta della verità si paga a caro prezzo, ma le sentenze di questi giorni, la nascita a Ostia dell’associazione antimafia “Noi” ci dicono che ne vale la pena e che il cambiamento è davvero possibile.
Ognuno però deve fare la sua parte. Da ora.
Federica Angeli, “A mano disarmata”, Baldini&Castoldi, pagg. 373, Trebaseleghe (Pd), aprile 2018, euro 17,00